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Prodotti

Uva da tavola: cauto ottimismo per il prosieguo della stagione

Ismea: la domanda interna dovrebbe aumentare, preoccupano i mercati tradizionali. Boom di vendite per il prodotto confezionato (+37%)

Quantitativi elevati e di ottima qualità, dinamiche di mercato che non hanno premiato i produttori e cauto ottimismo per le prossime settimane. E’ questa, in sintesi, la fotografia scattata Ismea circa la stagione ancora in corso dell‘uva da tavola. Come già rilevato da myfruit.it nelle scorse settimane, a caratterizzare la campagna sono stati gli iniziali ritardi produttivi che hanno generato, a cascata, una serie di fenomeni commerciali non sempre favorevoli al mondo produttivo.

La campagna in sintesi

Secondo Ismea, la campagna 2021 è caratterizzata da un’offerta quantitativamente sopra la media degli ultimi anni e da un ottimo profilo qualitativo. Continua ad aumentare l’offerta di uve apirene, sia in termini di nuove varietà, sia in termini quantitativi: in generale le superfici investite a uve da tavola in Italia si sono assestate intorno ai 47mila ettari (concentrati in Puglia e Sicilia), ma i dati relativi all’ultimo quinquennio evidenziano una certa dinamica nella sostituzione dei vecchi impianti di varietà tradizionali con i nuovi vigneti di varietà senza semi.

Con circa un milione di tonnellate prodotte, l’Italia si conferma il primo produttore europeo di uva da tavola e il quarto a livello globale.

Le dinamiche di mercato non hanno favorito la produzione

Lato mercato, come già riportato da myfruit.it, le prime battute della campagna 2021 sono state caratterizzate dal ritardo della maturazione dell’uva, il che ha generato un rapido assorbimento dell’offerta delle varietà precoci a prezzi soddisfacenti, superiori infatti sia a quelli del 2020, sia al prezzo medio delle campagne 2018-2019. Nelle settimane successive, però, la produzione è arrivata sul mercato tutta insieme, il che ha determinato uno sbilanciamento tra offerta (alta) e domanda (bassa, i  consumi 2021 segnano un decremento dell’1,5 rispetto al 2020): sono quindi precipitati i prezzi.

A peggiorare le cose l’elevata pressione competitiva sui principali mercati di sbocco europei da parte degli altri produttori mediterranei (Spagna, Grecia, Turchia ed Egitto): inesorabile il rallentamento delle vendite e la progressiva flessione delle quotazioni all’origine.

La produzione in ritardo fa crescere l’import, +7%

A causa del ritardo della maturazione delle primizie, nel primo semestre del 2021 le importazioni sono aumentate del 7 per cento. Va ricordato che, in generale, nei primi sei mesi dell’anno le importazioni riguardano il prodotto proveniente dall’emisfero australe (perlopiù dal Perù o triangolato dai Paesi Bassi) e le primizie che aprono la campagna del nostro emisfero, proveniente per lo più dall’Egitto. Il prezzo medio del prodotto importato ha registrato una sostanziale stabilità su base annua, anche se rispetto al dato medio del triennio 2017-2019 si registra un incremento dell’8 per cento. Nel primo semestre i Paesi Bassi si confermano il primo fornitore dell’Italia con circa 5.500 tonnellate (+50% su base annua).

Sono invece stabili le esportazioni (+ 1,3% vs il primo semestre 2020), ma l’aumento su base annua del prezzo medio del prodotto esportato (+ 6,5%) ha determinato un aumento degli incassi. In questo primo scorcio della campagna 2021 si registra la battuta d’arresto delle spedizioni verso la Germania (-19% in volume su base annua), compensate dall’incremento delle forniture a Polonia (+35%) e Austria (+49%).

Lo sfuso può attendere

La vendita al dettaglio delle uve confezionate, nel periodo gennaio-agosto 2021, è cresciuta su base annua del 37% in quantità e del 45% in termini di spesa grazie all’incremento del prezzo medio del 5,5 per cento.

Tale dato conferma il fenomeno in atto ormai da qualche anno e rafforzato dalla crisi sanitaria: consumatori italiani ed esteri prediligono il prodotto confezionato a quello sfuso.

Due scenari per il proseguo della campagna

Secondo Ismea, il proseguo della campagna vede due scenari differenti per il mercato interno e per quello estero. La qualità e l’abbondanza della produzione dovrebbero tradursi nelle prossime settimane in una domanda interessata e in flussi di vendita sostenuti sul mercato interno. Di contro, il mercato europeo – ossia il principale sbocco per le uve made in Italy – è soggetto alla crescente pressione competitiva da parte di Spagna, Grecia e Turchia, i quali stanno aumentando le superfici investite e stanno puntando sulla qualità: un mix che rende sempre meno competitive le uve italiane sui mercati esteri tradizionali.

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