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Radicchio rosso di Ferrara: aumentano le preoccupazioni

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Autore Redazione

E’ pagato 5-10 centesimi il chilo. Serve una maggiore valorizzazione dei prodotti tipici per rendere meno anonime le colture

Cresce la preoccupazione tra i produttori di Cia-Agricoltori Italiani Ferrara per i prezzi del radicchio rosso, in vista della campagna produttiva di novembre.

“Attualmente il prodotto viene pagato agli agricoltori dai 5 ai 10 centesimi il chilo, in pratica nulla se pensiamo che dovrebbe essere quotato almeno dieci volte di più per coprire i costi di produzione in costante aumento. Una situazione che rischia di limitare ulteriormente le superfici investite, che hanno subito una forte contrazione negli ultimi anni”, spiega Giuliano Mangolini, produttore di Cia Ferrara.

“Un dato, su tutti, spiega quanto è profonda la crisi commerciale del radicchio: a settembre alcuni produttori di Chioggia hanno chiamato la cooperativa dove conferisco per chiedere se volevano del prodotto gratis, così da evitare i costi di smaltimento. Cosa c’è di peggio che dare gratuitamente una coltura agricola? Nulla perché parliamo di un bene alimentare che serve a sfamare le persone e l’idea di smaltirlo come un rifiuto è inaccettabile. Quest’anno – spiega Mangolini – siamo partiti discretamente nel periodo maggio-giugno, con un primo prezzo di 1,50 euro/chilo per arrivare ai 0,50 di fine campagna. I problemi veri sono arrivati con la raccolta di settembre che è stata abbondante e di qualità – anche fino a 300 quintali/ettaro mentre la media solitamente è di 250-260 – perché i consumi, forse anche a causa del permanere di un clima caldo, non sono decollati”.

“Il risultato – continua Mangolini – è desolante: 5-10 cent/chilo il prezzo di mercato di un prodotto che vale almeno dieci volte di più. Ricordo, infatti, che il radicchio ha dei costi produttivi considerevoli soprattutto a livello di manodopera, perché viene raccolto tutto a mano. Inoltre la necessità di avere un green pass valido rende difficile trovare personale, che è perlopiù di origine straniera, perché magari ha fatto un vaccino che al momento non è riconosciuto nel nostro Paese. Un contesto produttivo e di mercato difficilissimo per i redditi dei produttori che porta all’abbandono della coltura. A novembre, inoltre, ci sarà una nuova raccolta e vediamo se con l’arrivo del freddo, quando il prodotto viene solitamente richiesto e apprezzato dai consumatori, ci sarà una maggiore richiesta e prezzi più remunerativi. Credo che la disaffezione dei consumatori al radicchio non sia assolutamente legato alla qualità del prodotto, che rimane un’eccellenza del territorio, ma derivi principalmente da una sempre maggiore disponibilità di orticole che arrivano dal Sud e dall’estero. Certo, non si può pensare di fermare la globalizzazione ed è ovvio che la concorrenza sarà sempre più agguerrita, ma credo che una politica di valorizzazione più forte dei prodotti tipici e una maggiore attenzione a tracciabilità e identità a livello di etichetta, per rendere meno anonime le colture potrebbe evitare, almeno in parte, che il radicchio sparisca completamente dal Basso Ferrarese”.

Fonte: Cia Ferrara

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