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Milano: il sequestro di StraBerry e le accuse di caporalato

ApeCar Straberry

L’azienda di Cassina de Pecchi denunciata per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera

Le colorate Ape Car brandizzate straBerry per le vie di Milano sono diventate nel giro di pochi anni una presenza nota e conosciuta dai cittadini del capoluogo lombardo, ma il rischio è che ora lo diventeranno per motivi differenti dal profumo e gusto dei piccoli frutti in vendita.

La scommessa dei piccoli frutti alle porte di Milano

La storia di questa startup negli ultimi anni aveva fatto il giro d’Italia, grazie all’intraprendenza del suo fondatore e ai molti riconoscimenti ottenuti, a partire dall’Oscar Green assegnatogli da Coldiretti sia nel 2013, sia nel 2014. Ma non solo: a due passi dalla città, a Cassina de Pecchi, all’interno del Parco Agricolo Sud, straBerry si era fatta notare anche per l’utilizzo di serre sospese e riscaldate da pannelli fotovoltaici, oltre che alla possibilità di visite didattiche per capire come funziona la coltivazione e raccolta di fragole e lamponi. 

Le indagini e le accuse di caporalato

GuardiaDiFinanza_straberryIl tutto ora ha però assunto colorazioni decisamente cupe e la storia della giovane e dinamica startup a Km 0 è finita su un po’ tutti i principali quotidiani nazionali a causa delle accuse di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera.  Le indagini condotte dalla Compagnia di Gorgonzola della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Milano hanno fatto emergere una serie di anomalie sia nelle assunzioni, sia nelle retribuzioni dei dipendenti, in particolare dei braccianti. “I lavoratori non solo erano obbligati a prestare estenuanti turni di oltre nove ore giornaliere, ma ricevevano una paga oraria di 4,50 euro, nettamente inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo nazionale”, si legge nella nota della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Milano.

Denuncia e sequestro dei beni

A questo bisogna aggiungere, sempre secondo l’accusa, “degradanti condizioni d’impiego nei campi: i braccianti, infatti, soggetti alla continua vigilanza dei responsabili, erano costretti a sforzi fisici oltremodo gravosi, tesi a velocizzare la raccolta dei frutti e in spregio alle norme anti Covid-19 sul distanziamento sociale”. Una situazione che ha portato alla denuncia di sette persone – i due amministratori, due sorveglianti, due impiegati amministrativi e un consulente che si occupa di buste paga – nonché alla disposizione, da parte della Procura della Repubblica, del “sequestro di tutti i beni della società, consistenti in 53 immobili, tra terreni e fabbricati, 25 veicoli strumentali e tre conti correnti e la nomina di un Amministratore Giudiziario ai fini della continuità aziendale nel rispetto delle leggi vigenti”. Un quadro, quello dipinto dai finanzieri e dal personale dei Vigili del Fuoco e dell’Ats di Milano, che diventa ancora più grave considerando “le precarie condizioni di sicurezza e di igiene in cui i braccianti erano costretti a operare ovvero l’assenza di dispositivi di protezione individuale, di spogliatoi, di docce e di servizi igienici a sufficienza”. 

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