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Trend e Mercati

Brexit no deal: la posizione dell’Italia nell’agroalimentare

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L’Italia è il sesto fornitore di prodotti agroalimentari del Regno Unito, il primo di pasta, riso e pelati. Cosa succederà in caso di uscita senza accordo? L’analisi di Ismea

Cosa succederà all’export agroalimentare italiano nel Regno Unito in caso di Brexit no deal? Difficile da prevedere in questo momento, anche perché la possibilità che dall’altra parte della Manica possano sostituire i prodotti made in Italy oltre a non essere così immediata, dipenderà da molti fattori e cambierà a seconda dei singoli comparti merceologici e dei singoli prodotti. A fare il punto della situazione è Ismea che in un recente e dettagliato report fornisce i dati con i quali analizzare l’esposizione del Regno Unito rispetto agli altri Paesi, Italia inclusa, per quanto riguarda i prodotti agroalimentari.

Il nostro paese è il sesto fornitore di generi alimentari del Regno Unito con 3,26 miliardi di euro (su 57 miliardi di euro complessivi), dietro Paesi Bassi (7,83 miliardi), Irlanda (5,5 miliardi), Francia (5,33 miliardi), Germania (5,20 miliardi) e Spagna (3,82 miliardi). Ovviamente in alcuni comparti merceologici la nostra posizione è decisamente più esposta, come nel caso dei vini confezionati dove siamo secondi con 379 milioni di euro e questo vale là dove il legame con il made in Italy è forte. E così, scorrendo le tabelle di Ismea emerge come l’Italia sia il principale fornitore degli inglesi per quanto riguarda gli spumanti (Prosecco docet), pomodori pelati e polpe, riso lavorato e semilavorato, paste ripiene e di semola. L’Italia è anche il secondo fornitore di olio di oliva dietro la Spagna, il terzo di caffé torrefatto e di salsicce.

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Frutta e verdura? Il Regno Unito importa a valore quasi 5,5 miliardi di euro di frutta, dal nostro Paese 143 milioni, per quanto riguarda la voce ortaggi e legumi, invece, su 3,7 miliardi di euro l’Italia a valore ne vale 120 milioni. Scorrendo le singole voci di prodotto troviamo, per quanto riguarda il 2018, le mele con un valore di 26 milioni di euro e l’uva fresca per 22.

In caso di uscita dall’Unione europea senza un accordo, secondo Ismea, le criticità non saranno certo poche considerando che il 73% dei prodotti agroalimentari presenti nel Regno Unito arrivano dall’Ue. “Fatte salve le immediate difficoltà alle dogane inglesi (certificati all’esportazione, regimi fiscali, norme sanitarie e di etichettatura) è verosimile ammettere nel breve periodo un aumento generalizzato dei prezzi al consumo dei prodotti agroalimentari a seguito dell’introduzione di un regime di dazi extra UE” si legge nel rapporto. Probabilmente si potrebbe assistere ad una “progressiva riduzione delle importazioni da tutti i Paesi UE”, anche se è difficile prevedere esattamente l’impatto nei singoli comparti merceologici. Se, ad esempio, secondo il rapporto, appare difficile sostituire prodotti tipicamente made in Italy come pasta, riso e pelati, nel vino probabilmente c’è qualche criticità in più poiché, sempre secondo Ismea, “i vini del nuovo mondo (tra quali Nuova Zelanda e Australia, membri del Commonwealth) detengono già rilevanti quote del mercato inglese”. 

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