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Prodotti

Verso una cultura della qualità dei prodotti freschi

Per Jim Jefcoate, consulente per la conformità, serve un nuovo approccio per la certificazione meno oneroso e basato sull’IA

In due recenti articoli sul Fresh Produce Journal – uno sul perché il Regno Unito non sia più la destinazione preferita per i prodotti ortofrutticoli europei e l’altro su come si possa renderlo una destinazione con una ridotta richiesta di adempimenti – Jim Jefcoate, consulente per la conformità, ha osservato come l’attuale sistema di certificazione della Global Food Safety Initiative non offra un buon rapporto qualità-prezzo per il settore. La logica si basa su uno standard unico che non riconosce le catene di approvvigionamento corte e lo stretto legame del settore con i coltivatori.

Ha anche suggerito che l’intelligenza artificiale potrebbe svolgere un maggior ruolo nel miglioramento del processo e ha parlato di un approccio più olistico che ridurrebbe la complessità per i fornitori e, allo stesso tempo, migliorerebbe la protezione del marchio per i clienti (rivenditori o produttori di marca).

L’alternativa è la cultura

Dopo aver esplorato le opzioni con diversi colleghi del settore, è emerso un concetto che potrebbe fornire un’alternativa di maggior valore. Alternativa che è stata definita “cultura della qualità dei prodotti freschi” (FPQC).

“In genere, la cultura della qualità è dettata dai leader dell’azienda, con un tono dall’alto al basso – ha spiegato Jefcoate – Ridotta all’essenziale, si tratta di un’ossessione per il lavoro corretto già al primo tentativo, che si tratti di confezionare prodotti, ispezionare materie prime, caricare camion o inviare fatture ai clienti”.

“I problemi con la gestione tradizionale della qualità sorgono quando una parte dell’azienda viene privilegiata in modo sproporzionato rispetto ad altre aree: ad esempio, se gli approvvigionamenti hanno la meglio sul controllo qualità o se il reparto contabilità blocca le operazioni con il controllo dei costi. Questi problematiche sono rilevate raramente dagli organismi di certificazione, ma hanno un profondo impatto sul livello di servizio al cliente, che a sua volta influisce sulla reputazione del marchio di un’offerta di prodotti”.

Jim Jefcoate ha lavorato nel settore dell’approvvigionamento negli anni Novanta. Nei periodi in cui la qualità era discontinua, non era il cliente con il prezzo più alto o il programma più ampio a ricevere la qualità migliore, ma quello con l’approccio più rigoroso alla risoluzione dei problemi. Quel cliente ha cambiato il nostro comportamento a vantaggio del riconoscimento del suo marchio.

L’alternativa agli audit programmati

“In un settore in cui la variabilità della qualità è un rischio professionale – ha aggiunto Jefcoate – ritengo che questo cambiamento di comportamento possa derivare da un sistema che comprenda e implementi la cultura della qualità dei prodotti freschi piuttosto che affidarsi solo agli audit programmati”.

Viene dunque spontaneo chiedersi: “Come può un auditor o un rivenditore valutare il grado di integrazione di una FPQC nella sua catena di fornitura?”. Può utilizzare l’analisi statistica dei dati (a cui ha già accesso) come parte di un programma di valutazione. Tra questi, i reclami dei clienti, i rendimenti di produzione, gli scarti dei negozi, i rifiuti dei depositi o i risultati dei panel di assaggio alla cieca.

Tuttavia, questi dati sono solo il punto di partenza per una valutazione della cultura della qualità dei prodotti freschi di un fornitore. Se i prodotti sottoperformanti rivelati da queste metriche vengono presi e costituiscono la base di un’analisi delle cause principali, la tracciabilità attraverso il processo di confezionamento, lo stoccaggio e l’arrivo delle materie prime fornirà un quadro più completo della cultura della qualità di un fornitore di prodotti freschi e di quanto seriamente comprenda la reputazione del marchio del proprio cliente.

Il bello di questo approccio

Se tutti i fornitori lavorano bene, dunque, possono essere lasciati liberi di continuare. Un controllo maggiore è necessario solo per quei fornitori le cui fragilità minacciano la reputazione del marchio del cliente.

Ma come possiamo avanzare questa posizione? Senza un quadro coerente, si tratta solo di un concetto abbinato a un insieme casuale di metriche. Stiamo proponendo, e non solo discutendo, di adattare le linee guida dello standard BRCGS (Brand Reputation through Compliance) sulla creazione di una cultura della sicurezza alimentare, perché – secondo Jim Jefcoate – non si pensa abbastanza lontano. Dobbiamo ripensare a una cultura della qualità che garantisca un cambiamento radicale per i prodotti.

L’oggettività artificiale

È qui che entra in gioco un sistema sperimentato dalla Food Standards Agency e il suo kit di strumenti diagnostici della cultura della sicurezza alimentare per gli ispettori. Un approccio che fornisce un quadro intuitivo per la valutazione e l’assegnazione di punteggi ai fornitori. Poiché l’intelligenza artificiale è ormai sufficientemente evoluta da quando questo strumento è stato sperimentato, sovrapponendo i dati descritti in precedenza, migliora uno strumento in gran parte soggettivo aggiungendo un elemento oggettivo.

Dal punto di vista del cliente, Jefcoate è convinto che un approccio di questo tipo possa migliorare le credenziali del marchio, migliorando la disponibilità di prodotti di elevata qualità. Per i fornitori, ridurrebbe i costi di conformità. E per le aziende che hanno dedicato tempo e risorse all’implementazione di una FPQC, ciò evidenzierà un punto di differenza rispetto ai fornitori con una visione tradizionale.

I prossimi passi? Innanzitutto, bisogna istituire un gruppo di lavoro, facilitato dal Fresh Produce Consortium (FPC), per raccogliere le preoccupazioni e le opportunità. L’obiettivo finale, naturalmente, è quello di organizzare un workshop e un progetto pilota per fare evolvere la cultura della qualità dei prodotti freschi in un modello industriale praticabile.

Fonte: fruitnet.com

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