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Frutta a guscio ed essiccata

Mandorla di Avola: possibili spiragli, a patto che…

giorgio cappello

Giorgio Cappello: “La produzione quest’anno è stata di ottima qualità, ma restano tante giacenze”

L’annata 2023 della Mandorla di Avola è stata molto positiva dal punto di vista produttivo. Tuttavia, l’intero comparto si porta dietro la pesante eredità degli ultimi anni, almeno della prima ondata Covid, quando insieme al mondo si bloccarono anche i matrimoni e, di conseguenza, l’intero settore della confetteria.

Il bilancio della campagna

A fare il punto della situazione per myfruit.it è Giorgio Cappello, presidente del Consorzio Mandorla di Avola, che spiega: “Per la campagna 2023, come produttori, siamo sostanzialmente soddisfatti. Le piogge, infatti, sono arrivate nel periodo propizio per lo sviluppo e la crescita del seme. La produzione, che si estende su circa 3.000 ettari tra province di Siracusa e Ragusa, si è attestata su livelli normali e i calibri sono finalmente tornati quelli consueti”.

Permangono tante criticità

Tutto bene? Ovviamente no. Continua infatti Cappello: “La buona notizia è che il livello qualitativo dei frutti ha riacceso l’interesse, da parte di commercianti e confettieri, per la Mandorla di Avola. Non dimentichiamo infatti che continua a esistere, seppure si tratti sempre più di una nicchia di mercato, una domanda per confetti di alta qualità, specialmente all’estero. Tuttavia, la buona produzione di quest’anno ha anche provocato un consistente aumento delle giacenze. Un problema che ci stiamo trascinando anno dopo anno dal 2020, quando il lockdown bloccò le cerimonie e, di conseguenza, anche l’industria confettiera”.

A questo problema se ne aggiunge poi uno molto più strutturale e strutturato: la concorrenza di prodotto estero. Rileva Cappello: “Purtroppo, troviamo  in commercio mandorle californiane a 3,50-4 euro il chilo, un livello completamente fuori mercato per il nostro prodotto, che sgusciato dovrebbe essere venduto ad almeno 16-18 euro il chilo. Una situazione estremamente grave, in altri termini, che sta generando espianti o totale mancanza di cura dei mandorleti”.

Non bastasse, si sta insinuando anche un altro problema più sottile, ma non meno fastidioso. “In questi ultimi anni, tra diverse realtà confettiere – prosegue Cappello – si è sviluppata la tendenza a realizzare confetti con ingredienti più economici, ad esempio al cioccolato, alla fragola o ad altri gusti ancora. Dove, appunto, manca la Mandorla di Avola”.

Soluzioni all’orizzonte?

Il problema, dunque, rimane intatto: come si farà a gestire la grande giacenza di prodotto che è rimasta dagli anni passati, con i quantitativi del 2022 che peraltro sono poco appetibili dalla confetteria perché i calibri, causa siccità, sono piuttosto ridotti?

Una soluzione prova a suggerirla lo stesso Cappello, ma per trovare la bacchetta magica c’è necessità di un buon lavoro coordinato e di gruppo: “Il guscio della Mandorla di Avola è un vero e proprio scrigno, capace di conservare perfettamente, e per anni, il frutto contenuto all’interno. Bisogna tuttavia uscire da questa impasse delle giacenze, perché i produttori non possono anticipare per diversi anni consecutivi le operazioni colturali, senza portare a casa nulla. I calibri minori possono essere avviati alla produzione di semilavorati, dalla farina ai panetti. Ma non dobbiamo neanche perdere di vista il valore intrinseco del prodotto, che è totalmente biologico, al contrario delle californiane: nessuno infatti fa trattamenti, che sarebbero troppo costosi, l’impollinazione avviene tramite le api e l’irrigazione avviene esclusivamente con le acque meteoriche”.

“Sono valori aggiunti – conclude Giorgio Cappello – che devono essere percepiti e comunicati al consumatore. Per questo, siamo impegnati a sensibilizzare il Masaf sull’importanza di una comunicazione ad hoc per fare riscoprire le qualità della frutta a guscio italiana e nello specifico anche delle nostre mandorle. Le potenzialità di impiego sono molteplici: non solo confetteria, ma ad esempio anche un ottimo e salutare snack proteico. Uno studio dell’Università di Messina ha anche notato che la stessa acqua di dilavazione utilizzata dall’industria per togliere i tegumenti è ricchissima di polifenoli. Ora viene buttata, ma ci potrebbero essere impieghi molto interessanti nella cosmesi e in altri campi ancora”.

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