Se l'ortofrutta è il primo motore della scelta del punto di vendita, il suo peso sulla spesa alimentare resta marginale (meno del 5%). Cristina Lazzati, direttrice di Mark Up e Gdo Week, analizzando questa discrepanza su Economia A&F Osserva Consumi de La Repubblica, evidenzia una necessità profonda: non basta offrire, bisogna saper raccontare.
Un reparto amato ma poco strategico?
Spesso percepita come "il parente sano ma poco strategico", l'ortofrutta ha un potenziale enorme nell'era dell'attenzione alla salute, della sostenibilità e del consumo consapevole. Se ne è discusso a Macfrut 2025, in un convegno promosso dalla Associazione le Donne del Retail con La Grande Bellezza Italiana che ha visto l'intervento di Emna Neifar (Deloitte), i cui dati e analisi hanno acceso i riflettori soprattutto sulle opportunità inespresse.
Come sottolinea Lazzati riprendendo l'intervento di Neifar, se l'ortofrutta guida la scelta del supermercato più del prezzo ("prima ancora del prezzo, delle promozioni o della notorietà dell’insegna", ndr), la sua incidenza sulla spesa è minima: "Non basta esserci, serve saper raccontare. Perché oggi, anche il pomodoro ha bisogno di marketing".
Intanto, il consumatore è cambiato: curioso, informato ma spesso disorientato, oscilla tra la ricerca di sconti e il desiderio di mangiare sano, non sempre disposto a investire in qualità. Tuttavia, un dato incoraggiante indica un potenziale aumento di spesa per frutta e verdura per il 30% degli italiani.

Rinnovare il reparto: layout e linguaggio coinvolgente
Neifar, citata da Lazzati, invita la Gdo a ripensare l'ortofrutta come protagonista, con layout focalizzati sui bisogni, unendo fresco e trasformato, con etichette parlanti e contenuti che rendano frutta e verdura desiderabili, oltre che salutari.
Ispirazione internazionale: l'ortofrutta trasversale
L'articolo cita poi esempi esteri di successo: mix on-the-go, frutta con hummus, smoothie pronti, kiwi "da passeggio", mostrando come l'ortofrutta possa intercettare diverse esigenze e diventare un elemento di branding.
Il potere del branding: la fragola "firmata" vende di più
I dati Deloitte, riportati da Lazzati, sono chiari: l'ortofrutta raccontata vende di più, quella brandizzata genera doppio valore rispetto allo sfuso, con un'elevata percentuale di consumatori (68%) disposti a pagare un premium per una fragola con un marchio riconoscibile. E il 60% sviluppa una preferenza di marca. Tradotto: la marca funziona anche in ortofrutta, se accompagnata da storytelling, coerenza e qualità.
Anche per il bio, nicchia in crescita ma con volumi contenuti, la chiave è un assortimento strategico che bilanci i grandi classici ad alto volume (banane, mele, pomodori) con prodotti più mirati. Il tutto supportato da un modello operativo efficiente, che controlli margini, percezione e sprechi.
Oltre la provenienza, l'unicità
Nella corsa al local, poi, non basta indicare l'origine: serve raccontare il "terroir", il clima, la terra, la tradizione, prendendo spunto dal mondo del vino e creando consorzi con funzioni di tutela e marketing. Insomma, bisogna saper spiegare perché un prodotto è unico.
La riflessione finale di Lazzati pone una domanda cruciale: quale spazio avrà l'ortofrutta nel futuro del retail? Un'area benessere integrata, un'esperienza digitale personalizzata, o un corridoio anonimo?
La risposta dipende dalla visione di chi progetta, gestisce e comunica: trattare la frutta come una commodity o come la firma distintiva del proprio punto di vendita.
Fonte: La Repubblica