Dopo l'intervista a Salvatore Lotta di Agricola Campidanese continua il viaggio nel mondo dei carciofi. Un settore che sconta il calo dei consumi soprattutto tra le nuove generazioni, ma con un'attenta gestione la valorizzazione delle sue molteplici proprietà può dare soddisfazioni a produttori e commercianti. Convinto di questa prospettiva Mario Desogus, direttore commerciale della Cooperativa Villasor, siamo nella provincia del Sud Sardegna, che conta 100 soci, 500 ettari coltivati e una produzione che arriva a 25-30 milioni di capolini l’anno.
Sono i numeri di una delle realtà più strutturate nella filiera del carciofo isolano. Ma anche qui non mancano i problemi: calo dei consumi e difficoltà di reperimento della manodopera.
Direttore, qual è oggi la situazione sul fronte dei consumi?
Purtroppo dobbiamo constatare un calo evidente dei consumi di carciofo, legato in parte al cambiamento delle abitudini alimentari. La Gdo offre sempre più verso i prodotti lavorati, in vassoio, pronti da cucinare. Anche noi stiamo adeguando parte della nostra produzione a questo canale, che oggi rappresenta una quota in crescita. Però il mercato all’ingrosso, nonostante tutto, continua a difendere meglio i prezzi, rispetto alla grande distribuzione.
Il posizionamento geografico dei vostri carciofi nel mercato?
Quello nazionale è il nostro principale mercato: vendiamo lo spinoso sardo in Piemonte, Liguria e Lombardia, soprattutto nella zona di Bergamo. Il Tema, invece, va verso il Nord-Est, in Veneto ed Emilia-Romagna. L’export è residuale, intorno all’1-2% del totale. Per quanto riguarda le varietà: il 40% è spinoso sardo, l'altro 40% Tema e il restante Terom.
Abbiamo una programmazione varietale scalare. Il Tema apre la stagione da ottobre a gennaio/febbraio. Lo Spinoso sardo, che rappresenta un altro 40% della nostra produzione, parte da inizio novembre fino a febbraio. Il tardivo, il Terom (di origine toscana), lo raccogliamo da fine febbraio a maggio, con piccole nicchie di spinoso tardivo. Essere presenti nel periodo giusto, quando altri concorrenti non sono ancora in produzione, determina il buon esito commerciale.
Come vivete la concorrenza, anche estera?
L'Italia importa carciofi da Egitto, Tunisia, Sudafrica, d'estate anche dalla Francia e più precisamente dalla Bretagna. Ma la vera concorrenza si sente quando sul mercato c’è la presenza di carciofo italiano. A quel punto la sfida si gioca tutta sulla qualità e sulla fidelizzazione dei clienti.
Il lavoro è un problema?
Sì, la mancanza di manodopera è una delle maggiori difficoltà. In campagna lavorano circa 45 dipendenti, e senza il contributo dei collaboratori extracomunitari, che ci danno una grossa mano, sarebbe quasi impossibile portare avanti le operazioni. Il carciofo è una coltura che richiede esperienza, non è un lavoro per tutti: serve manualità, velocità, conoscenza. La professionalità è importante.
Avete pensato alla trasformazione come opportunità di sviluppo?
No, non è la nostra strada. Non ci convince, e non fa parte del nostro approccio. Il carciofo è un prodotto dalle grandissime proprietà: facile da digerire, ottimo a livello renale, ricco di qualità nutrizionali. Noi crediamo nel prodotto fresco. Dovremmo tornare ai tempi del famoso spot televisivo con Calindri e "Contro il logorio della vita moderna". Serve più comunicazione e valorizzazione di questi aspetti.
Sul fronte della valorizzazione, qual è lo stato della Dop?
Siamo tra i promotori della Dop del carciofo spinoso sardo, ma il percorso è stato complicato. Dopo il riconoscimento si sono fatte scelte sbagliate, sia dalla Regione che dalle cooperative. Abbiamo fatto degli errori ma la politica non ha dato una mano: poteva essere un vero traino per il settore. Al momento, l’unica Dop riconosciuta è quella dello Spinoso, ma è una risorsa ancora troppo poco sfruttata.
Il modello cooperativo aiuta a tenere unita la filiera?
Oggi siamo una Organizzazione di produttori (Op) e offriamo servizi a 360 gradi: gestione contabile e amministrativa, preparazione dei terreni, un parco macchine condiviso, un negozio con concimi e antiparassitari, il magazzino, possibilità di dilazioni di pagamento. Cerchiamo di aiutare le aziende a contenere i costi e ottimizzare il lavoro. Un sostegno importante.
Il carciofo ha ancora un futuro, nonostante le difficoltà?
Assolutamente sì. È una coltura difficile, ma se la gestisci bene e nei periodi giusti, rispetto ai concorrenti, ti dà soddisfazioni. La chiave è puntare sulla qualità, sulla specializzazione e su una filiera organizzata. E servirebbe una visione politica più coraggiosa, per non lasciare soli i territori.