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AAA cercasi frutta al ristorante

E’ scomparsa la voce dai menu. Il Gambero Rosso: “Per mancanza di gusto. Poi, però, c’è una questione culturale”

Stefano Polacchi sul magazine del Gambero Rosso non ha dubbi: il declino della frutta al ristorante è colpa di frutti che non hanno sapore (né molto senso).

Benvenuto nel club – nemmeno tanto ristretto – di operatori ed esperti di ortofrutta che da qualche anno ormai lamentano come primo male del settore proprio la mancanza di gusto o, meglio, la mancanza di (elevata) costanza qualitativa dell’offerta.

“Provate a chiedere in un ristorante se sia possibile avere della frutta: nella migliore delle ipotesi vi risponderanno che ci sono ananas o, se in stagione, fragole. Oppure una semplice mela – scrive Polacchi – Eppure, se diamo un’occhiata al testo sacro della cucina italiana scritto da Pellegrino Artusi, troviamo proprio l’appendice dedicata agli stomachi deboli e focalizzata proprio su quale frutta mangiare a fine pasto. Trecento anni prima uno dei padri della tavola italiana fa un elenco di frutta da fine pasto specificando qualità e provenienze dei diversi frutti, dalle mele appie alle ciliegie palombine (o romane), dalle albicocche alle prugne damaschine. Ormai però di tutto ciò non vi è più traccia, o quasi. Tanto che già negli anni del boom economico Luigi Veronelli, nella riedizione de Il Carnacina, escludeva la frutta come naturale fine del pasto ma la dava solo come facoltativa“.

Chef Igles Corelli: scarsa qualità

I motivi sono semplici, e chiari a tutti. Leggete cosa ne pensa chef Igles Corelli: “In molti ristoranti si trova ancora la frutta, magari cucinata o passata al pacojet. Ma i problemi sono due: la veloce deperibilità della frutta e la sua scarsa qualità che non la rende più appetibile, né per gli chef né per i commensali”.

E, come ricorda Luca Cesari (esperto di storia della gastronomia e collaboratore dell’inserto culturale de IlSole24Ore, della rivista Gambero Rosso e del sito Dissapore, ndr) “anche a casa, quando abbiamo ospiti, raramente offriamo arance e mandarini”.

Non aiuta neppure la moda veg

Se molte delle diete che da anni ci guidano a tavola bandiscono gli zuccheri (e dunque la frutta) dalle nostre abitudini, in realtà, a farne le spese è solo la frutta, perché gli zuccheri dei dolci da fine pasto continuano a dominare i menu.

Neppure l’avanzata della moda veg ha dato nuova vita alla frutta a tavola. “C’è qualche fruttariano che si imbottisce di datteri o di banane. In qualche ristorante troviamo l’ananas. O la macedonia, prevalentemente nei banchetti o nei menu fissi, o le fragole in stagione e magari con panna (zuccherata). Ma difficilmente nelle carte (delle trattorie come dei fine dining) troveremo la voce frutta”, prosegue Polacchi.

Frutta da scaffale

E se fosse solo una questione culturale? Passo a passo ci siamo allontanati dalla cultura rurale, della terra, del legame tra cibo e agricoltura.

La frutta non si trova sugli alberi, ma sugli scaffali – osserva Polacchi – E il suo sapore è pallido, senza picchi, piatto. Da quanto tempo non trovate una pesca che abbia senso? O un’albicocca? Quanti sapori (e profumi) può avere una pera? Ci sono chef che fanno composte e salse e mostarde di frutti antichi. Quando riescono a trovarli”.

I nutrizionisti non hanno dubbi: “Non è consigliabile consumare troppi zuccheri semplici a pasto per non stimolare l’iperinsulinemia. Ma certo, tra un dolce e un frutto meglio il secondo, che ha anche nutrienti importanti come le vitamine che con il calore della cottura se ne vanno”.

“E allora – conclude Stefano Polacchi nel suo articolo – proviamo a riscoprire il valore della frutta e delle diverse varietà, al naturale. Chissà se possiamo dare una mano anche alla produzione di una frutta più identitaria e più ricca di senso, oltre che di gusto?”. La risposta è già nei frutteti.

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