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Residuo zero, valore aggiunto per la competitività dei produttori?

Confronto costruttivo al webinar di myfruit. Claim chiaro e immediato, ma può essere frainteso. Il bio non è in pericolo

Si è tenuto ieri il webinar “Vendere il residuo zero: tutto quello che c’è da sapere” organizzato da myfruit.it.
Un momento di confronto chiaro e trasparente, in cui gli stakeholder della filiera hanno portato i propri punti di vista. Su un aspetto hanno tutti concordato: il Residuo zero è il frutto di un processo, non è solo un limite a cui allinearsi. 

Requisiti, certificazioni e norme

“E’ importante che i prodotti a Residuo zero abbiano alle spalle una certificazione di parte terza – ha spiegato Carmelo Sigliuzzo, responsabile schemi di certificazione di prodotto di Check Fruit – In Italia e in Europa non esiste una normativa specifica e, pertanto, ogni ente di certificazione ha delineato le proprie linee guida. Ma consapevoli della necessità di avere standard comuni, stanno lavorando insieme per arrivare a un documento condiviso“.

Come ha spiegato il tecnico, l’azienda che vuole ottenere la certificazione Residuo zero non deve solo dimostrare, a mezzo analisi, di rientrare nei parametri di rilevabilità strumentale (0,01 mg/kg), ma anche di seguire il metodo di produzione dell’agricoltura integrata e di avere al proprio interno un sistema di controllo.

Chiaro, immediato, ma può essere frainteso

Dall’intervento di Gianmarco Guernelli, responsabile nazionale Ortofrutta di Conad, è emersa l’importanza della trasparenza nei punti di vendita: “Si tratta di un claim che colpisce il consumatore, perché è chiaro e immediato, ma al contempo fraintendibile – ha argomentato – Il consumatore può essere indotto a pensare che non sia stata impiegata chimica durante tutto il processo produttivo, ma in realtà non è così”.

Spazi dedicati e spiegati

Per evitare fraintendimenti, Unes ha pensato, nei propri negozi, a delle isole o a delle scaffalature dedicate: “Abbiamo replicato un modello già sperimentato con il biologico e con i prodotti a chilometro zero, spazi dedicati in cui spieghiamo ai consumatori che cosa c’è alle spalle dei prodotti – ha riferito Luca Cardamone, category manager frutta e verdura di Unes – L’ortofrutta è il nostro biglietto da visita, è un reparto in cui sperimentiamo molto. I dati a volume di vendita che stiamo riscontrando dimostrano la bontà del progetto, in particolare pomodori e piccoli frutti stanno dando risultati sorprendenti”.

“Stiamo lavorando anche a prodotti a Residuo zero a marchio Viaggiator Goloso – ha poi svelato il manager – Ma, visto il periodo congiunturale, stiamo analizzando nel dettaglio le performance e la predisposizione dei nostri clienti verso questo tipologia di acquisti”.

Partire dalle varietà

Lato produzione, sono intervenute al dibattito i rappresentanti delle aziende Fruttital (Gruppo Orsero) e Flli Romagnoli, i quali hanno concordato su un punto: per approcciare il Residuo zero, occorre partire dalle varietà, selezionando quelle con tolleranza alle fitopatie. Solo così si possono ridurre drasticamente i trattamenti.

“Abbiamo creduto e investito nel Residuo zero – ha chiarito Paolo Piccinni, responsabile commerciale di filiale di Fruttital – Siamo partiti con l’ananas è abbiamo poi sviluppato la linea pomodoro e la linea cetriolo. Vista la risposta positiva dei consumatori, quest’anno proponiamo anche i radicchi, il pan di zucchero, l’asparago e il ficodindia, mentre sono allo studio l’uva da tavola e le albicocche. L’obiettivo è offrire al consumatore un paniere sempre più ampio”.

“Gli elementi a favore dell’inserimento di prodotti a Residuo zero in reparto sono la novità, il margine e la distintività – ha riflettuto Roberto Chiesa, direttore commerciale di Flli Romagnoli – Noi stiamo lavorando da anni a questo standard, proponiamo patate e cipolle a Residuo zero. E oggi possiamo dire di essere già alla versione 2.0, il che significa che la chimica è stata messa al bando“.

Residuo zero vs bio, non è guerra

I relatori hanno poi dibattuto sul rapporto tra prodotti biologici e a Residuo zero. “Si tratta di due cose completamente diverse – ha sintetizzato per tutti Sigliuzzo – Il primo è un metodo normato a livello comunitario, il secondo è un obiettivo della lotta integrata e pertanto non sono sovrapponibili. Tra dieci anni probabilmente non parleremo più di Residuo zero, perché non ci saranno più residui sulla nostra ortofrutta”.

“Anche per quanto riguarda le vendite, il rapporto tra le due tipologie di prodotto non è conflittuale – ha aggiunto Luca Cardamone – Il Residuo zero ha raggiunto volumi importanti, ma senza rubare spazio al bio”.

Preoccupazione per le politiche di sottrazione

Infine, i relatori si sono confrontati sull’attuale momento economico e politico che stanno vivendo le imprese agricole: concordando sulla capacità di resilienza dei produttori, si sono detti preoccupati per la situazione. Roberto Chiesa, concludendo, ha così riassunto lo scenario: “Le aziende agricole, seppur resilienti, stanno vivendo un momento molto difficile sia per via dei costi produttivi in aumento, sia per le logiche commerciali che non sempre riconoscono il valore della produzione. Inoltre, in tema di molecole chimiche, le politiche basate sulla sottrazione, che però non lasciano il tempo per trovare la sostituzione, stanno determinando l’abbandono delle coltivazioni pregiate. Novità, valore aggiunto e maggiore remunerazione sono gli elementi per una maggiore competitività del settore, il Residuo zero deve essere inquadrato anche in quest’ottica”.

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