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Le Donne dell’ortofrutta lanciano l’iniziativa social #lortofruttachevorrei

La presidente, Alessandra Ravaioli: “Una raccolta di idee su come rendere più competitiva la filiera made in Italy”

Mai come ora quello che conta è la capacità di leggere, interpretare e progettare il futuro. E, anche nel settore ortofrutticolo, saranno le idee e la visione a indicare la strada per crescere. “Come Associazione Donne dell’Ortofrutta stiamo lanciando #lortofruttachevorrei, una raccolta di idee per una filiera innovativa e competitiva – spiega a myfruit.it la presidente, Alessandra Ravaioli – Le proposte sono delle Associate, ma vorremmo che arrivassero anche da parte di tutti coloro che hanno qualcosa da suggerire. E’ semplice: basta mettere l’hashtag #lortofruttachevorrei e scrivere le proprie idee su un social a scelta tra Facebook, Linkedin, Twitter e Instagram con il tag Donnedell’ortofrutta. Chissà, magari qualcuno ci ascolta o emergono spunti per chiarirci le idee in questo momento dominato dall’incertezza”.

Se chiedessi a lei che ortofrutta vorrebbe?

“Se penso a un’idea di futuro per la filiera ortofrutta penso al suo valore che è anche il valore del Made in Italy. Oggi il rischio è quello di disperdere la potenza del brand made in Italy che per tanti anni e in tanti settori ha fatto la differenza”.

Cosa significa Made in Italy in ortofrutta?

“Significa certamente saper fare- spiega Alessandra Ravaioli – In termini di prodotti, l’Italia ha capacità uniche legate alla sua storia e al suo know-how e questo riguarda l’intera filiera, dal settore sementiero/vivaistico alle tecnologie per la produzione e la lavorazione dei prodotti. L’Italia vanta standard elevati, attenzione all’ambiente e alla sostenibilità; produrre bene è sicuramente un nostro vanto”.

Ma la filiera riesce a rendere percepibile questa capacità?

“Purtroppo, credo di no. Manca un progetto comune di valorizzazione del made in Italy e manca una seria e concreta analisi del contesto competitivo in cui ci troviamo a operare. Perdiamo quote di mercato e perdiamo competitività. Mi piacerebbe avere strumenti chiari per analizzare questi temi. Uno studio approfondito e continuativo sul made in Italy ortofrutticolo, senza indulgere sul come siamo bravi ma toccando i problemi veri, le debolezze”.

Gli operatori del settore conoscono bene i problemi, ma chi è che deve analizzarli e cercare soluzioni?

“Una cabina di regia? Il ministero, il Cra o forse Ismea? Le Op e le Aop? Oppure le Organizzazioni professionali, le Interprofessioni? Non saprei. Tutti dicono qualcosa, ovviamente all’interno del loro contesto organizzativo, all’interno dei loro limiti istituzionali, ma si dice tutto e il contrario di tutto e soprattutto non si fanno azioni coordinate. Vorrei un piano per il rilancio del made in Italy ortofrutticolo con l’analisi delle debolezze, le strategie di rilancio, gli obiettivi chiave per l’Italia e per i mercati esteri. Vorrei che tutto questo fosse finanziato, a livello istituzionale ma anche dalle Op con una quota di OCM dedicata a questo. Una piccola quota, ma si sa che l’unione fa la forza! Vorrei un piano per accrescere le competenze di chi opera in agricoltura, a partire dalle Università, fino agli Istituti Tecnici e agli Enti di Formazione”.

Quali competenze sono prioritarie per fare fronte alle sfide future?

“Adattiamo velocemente le materie di studio per fare crescere giovani al passo con le sfide sempre più difficili. Pensiamo alla ricerca. Un sistema di ricerca e innovazione in ortofrutta made in Italy è indispensabile per dare competitività al settore. Innovazione varietale, sistemi di gestione delle novità varietali, tecnologie digitali, modelli economici complessi per valutare strumenti di competitività, valutazione di modelli produttivi evoluti, agroecologia. Abbiamo bisogno di conoscenza, di giovani competenti e appassionati e di più donne in posizioni chiave. Il ruolo femminile in ortofrutta è fondamentale da sempre, ed è sicuramente giunto il momento di collocare in posizioni chiave esperte del settore, competenti e motivate. Farebbe la differenza!”.

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