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Pesche e nettarine. La crisi e gli appelli alla radio

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Nove big dell’ortofrutta lanciano un appello radiofonico dal 16 luglio. Situazione “gravissima” afferma il CSO Italy. Servirà?

Quest’anno, e purtroppo non è certo una novità, la campagna di commercializzazione di pesche e nettarine italiane si configura come difficile, se non proprio drammatica. In particolare per chi produce, causa prezzi molti bassi, secondo alcuni semplicemente “vergognosi”, e che vedono tra le cause principali, almeno così dicono un po’ tutti gli attori in gioco, l’invasione di prodotto che il mercato sta offrendo in questo momento contemporaneamente, che la domanda non è in grado di assorbire e che ha come conseguenza il crollo dei prezzi. Da Spagna e Grecia arriva molta merce, una concorrenza difficile, se non impossibile da scalfire considerando i prezzi molto più concorrenziali rispetto a quelli italiani.

Nei giorni scorsi qui su myfruit ci siamo occupati di questa ennesima difficile campagna delle drupacee con alcuni articoli: l’intervista a Giancarlo Minguzzi, ad alcuni produttori di nord e sud Italia, ad un buyer di Carrefour. Ora arriva anche quello che sembra quasi una sorta di ultimo, disperato, tentativo per cercare di salvare il salvabile. Da domenica 16 luglio, infatti, una campagna radiofonica, che terminerà il 5 agosto, con 10 spot al giorno pianificati nella fascia “prime time” su Radio Rai, diffonderà il messaggio: “Mangiate almeno una pesca o una nettarina della Romagna al giorno, ci aiuterete a difendere il nostro lavoro e territorio e ne gioverà la salute”.

PescheSostenitrici dell’iniziativa un gruppo di realtà del settore molto note e che insieme concentrano circa il 60% della peschicoltura italiana: Agrintesa, Apofruit, EurO.P.fruit, La Buona Frutta, Il Frutteto, Granfrutta Zani,  Minguzzi, Naturitalia e Orogel Fresco. Si tratta, come sottolinea il CSO Italy nel suo comunicato di lancio della campagna, ad oggi “dell’unica iniziativa a sostegno del settore in Italia”.

L’intento è quello di convincere i consumatori a mangiare pesche italiane, romagnole in particolare, prendendo in considerazione anche alcuni aspetti che probabilmente non conoscono: la storicità dell’areale di produzione romagnolo, che si fregia anche del riconoscimento Igp, la garanzia dovuta al metodo di produzione integrato che salvaguardia l’ambiente, l’indotto lavorativo che il comparto determina (100 mila persone), tra fresco e trasformato. E a questo si può aggiungere quanto la coltivazione di pesche e nettarine contribuisca alla bellezza del paesaggio rurale nonché quando, infine, mangiare questi due frutti, faccia bene, soprattutto in periodi di grande caldo come questi.

Servirà? È quello che si augura, naturalmente, tutta la filiera, anche se non sarà semplice. Sugli scaffali della grande distribuzione il prodotto di importazione è ancora ben presente quantitativamente e a prezzi decisamente inferiori rispetto a quelli italiani. E, questa leva, sanno bene tutti quanto comunque continui a essere decisiva al momento dell’acquisto, soprattutto quando si tratta di prodotti “nazional-popolari” come pesche e nettarine.

Ma poi ci sono molti altri problemi, dal nodo varietale all’assenza di un vero e proprio catasto, che affliggono il settore da anni. Senza contare che i consumi sono cambiati, anzi, continuano a cambiare, e vedono proprio le drupacee scontare una costante perdita di interesse, come emerso anche durante l’ultima edizione del Macfrut, all’interno di un convegno promosso proprio da uno dei protagonisti del comparto in Italia: nelle slides di Nielsen, ma ancor di più nelle considerazioni finali, ci sono molti dei punti che se fossero affrontati, non risolverebbero completamente la situazione, ma quanto meno porterebbero un po’ di ossigeno al principale comparto della frutta estiva italiana.

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