Consumi e consumatori

28 luglio 2025

Ortofrutta sostenibile? Vorrei, ma non posso (spendere)

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Le intenzioni ci sono tutte, ma solo una minoranza dei consumatori è disponibile a pagare di più per portare a casa frutta e verdura più sostenibile. Va bene meno chimica, packaging riciclabile, giusto compenso a tutta la filiera ma solo un terzo degli italiani è disposto a mettere sul piatto più euro per la causa ambientale, ma anche sociale e culturale. 

A confermare questa tendenza l'esito del report dedicato ai consumi alimentari, in particolare di frutta e verdura,  emersi dal rilevamento del monitor di EngageMinds Hub – Consumer, Food & Health Research Center, Centro di ricerca in psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica, sede nel campus di Cremona.

La distanza tra il dire e il fare 

Nel report il bicchiere è pieno se si leggono i  propositi di assumere comportamenti sostenibili. Parlano i numeri: "Tre quarti degli italiani (il 76%) si dichiara intenzionato a ridurre lo spreco di cibo a casa con diverse misure come l'ottimizzazione della lista della spesa e l'attenzione alle scadenze del prodotto". Benissimo, un popolo virtuoso. Lodevole anche che il 70% del campione sia intenzionato ad acquistare prodotti di stagione.

Bene il dire, diverso il fare o almeno l'intenzione concreta.  "Solo un terzo degli italiani è disposto a spendere di più per alimenti per i quali gli agricoltori ricevono un prezzo equo in cambio (il 35%), a mangiare cibi a base vegetale anche se non di gradimento (il 34%) o a spendere di più per un’alimentazione sostenibile (Il 30%)". I sacrifici pesano.

Le nuove generazioni poco eco e più sprecone o magari "spiantate"

I giovani non sono tutti ecologisti come  emerge  dalla ricerca: "A sorpresa i giovani sembrano essere meno propensi a mettere in atto misure antispreco (il 65% vs il 76% del totale nazionale), meno disposti ad acquistare principalmente frutta e verdura di stagione (il 55% vs il 70% della media nazionale) e meno favorevoli a spendere di più per garantire l’equità socio-economica degli agricoltori (il 28% vs 35% del totale nazionale)".

Bisogna poi interpretare i numeri. E questo punto pensare che prevale il non posso tra le nuove generazioni, dove dilaga il precariato e le basse remunerazioni, perché molto semplicemente non si hanno i soldi in tasca. C'è poi da capire il fattore gusto in generazioni cresciute a pane e junk food. Difficile apprezzare certi sapori della tradizione. 

Guendalina Graffigna: "Il sacrificio pesa"

“Se da un lato la maggioranza degli italiani dichiara buone intenzioni verso pratiche sostenibili come ridurre lo spreco alimentare o preferire prodotti di stagione, dall’altro emergono forti resistenze quando la sostenibilità implica un sacrificio economico o di gusto", afferma Guendalina Graffigna, direttore del Centro di Ricerca EngageMinds HUB della Cattolica e responsabile scientifico dell’indagine. 

"A sorpresa, i più giovani appaiono meno propensi ad adottare comportamenti virtuosi rispetto alla media nazionale. Una dinamica che può essere letta alla luce di fattori economici, come una minore disponibilità di risorse, ma anche di stili di vita più flessibili e meno strutturati, che rendono più complesso fare scelte alimentari costanti nel tempo”. 

Myfruit.it ha contattato uno dei ricercatori del centro: Michele Paleologo - citiamo anche Greta Castellini - che sottolinea come il divario nei comportamenti sostenibili  "può essere letto come dato positivo perché c'è molto spazio per adottarli. C'è chi non mangia vegetali perché non li sa cucinare. In questi casi - sono i diversi i fattori legati a parametri economici, sociali, culturali -  può entrare in campo, per esempio,  l'educazione alimentare". C'è un terreno che si può rendere più fertile.


 Si leggono altri dati interessanti nello studio.  "Quasi la metà degli italiani (il 46%) adotta una posizione che potremmo definire di reattanza ovvero non accetta che gli venga detto cosa deve o non deve mangiare. Un terzo esatto (il 33%) afferma invece di prestare molta attenzione all’impatto ambientale delle proprie abitudini alimentari. La percentuale scende al 26% se si considera chi ha effettivamente modificato il proprio comportamento per motivi legati alla sostenibilità. Solamente un quinto del campione (20%) è convinto che le proprie abitudini alimentari contino poco se comparate all’impatto dei consumi di un’automobile. E appena un italiano su dieci ritiene che il proprio stile alimentare incida negativamente sull’ambiente".

“Chi cerca approvazione nel consumare alimenti tende ad accettare più facilmente restrizioni e riconosce più spesso l’impatto ambientale delle proprie scelte - conclude Guendalina Graffigna -  Gli espressivi, ovvero coloro che utilizzano il cibo come espressione di sé, sono più attenti e responsabili a ciò che consumano perché vedono nelle proprie scelte alimentari un riflesso della propria identità e dei propri valori. Chi vive invece il cibo come strumento relazionale mostra una minore consapevolezza dei suoi effetti sul pianeta concentrandosi così più sul valore affettivo del pasto che sull’aspetto di sostenibilità di quello che sta consumando”.



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