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Cibi cattivi? No, sono le abitudini alimentari ad essere errate.

Dalla presentazione di Cibus, critiche alla futura Food Tax.

Il settore alimentare italiano nel 2011 ha vissuto un anno di grandi difficoltà: i consumi interni hanno registrato una flessione di 8 punti, la produzione di circa un punto e mezzo. Nonostante questo, uno dei comparti più importanti del paese, composto da 6500 medie e piccole imprese (130 miliardi di euro di fatturato, circa l’8,1% del PIL) cha da lavoro a più di 400mila persone, cerca di guardare con ottimismo al futuro, soprattutto alla luce di un dato positivo: l’export. Questa la voce del settore che è cresciuta a doppia cifra (+10,3%) nel 2011 e, non a caso, alla sedicesima edizione di Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione, che partirà a Parma il 7 maggio per terminare il 10, le prenotazioni dei buyers provenienti dai paesi emergenti così come dei mercati storici registrerà il tutto esaurito, con presenze triplicate rispetto all’ultima edizione.
Alla presentazione milanese di venerdì scorso (presenti Franco Boni, presidente di Fiere di Parma, Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare, Elda Ghiretti, Cibus brand Manager, il Prof. Sergio Bernasconi, di Pianeta Nutrizione e Gianpiero Lugli, della facoltà di Economia dell’Università di Parma), non sono mancate, comunque, le critiche alle attuali politiche in tema di alimentazione che provengono dal governo. “Le piccole e medie imprese avranno ulteriori problemi quest’anno; dal futuro aumento dell’IVA che colpirà sia i prodotti che attualmente agiscono nel regime del 10% cos’ come del 21%” – ha affermato Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare – “passando per la ventilata Food Tax”. Secondo Ferrua, infatti, anche se inizialmente sarà limitata ad alcolici e superalcolici , rappresenta comunque un segnale negativo. “Noi non l’accettiamo, perché non esistono cibi cattivi, ma cattive abitudini alimentari. È iniqua, perché colpisce le fasce basse della popolazione. Ed è anche dannosa per l’economia, perché crea un marchio di infamia e, considerando che questi prodotti poi dobbiamo esportarli, è veramente contraddittorio”.

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