Secondo i dati più recenti dell’Istat, il 17,8% degli under 35 in Italia – quasi un giovane su cinque – dichiara di non potersi permettere un’alimentazione adeguata. Un dato allarmante, che non solo fotografa un disagio crescente tra le nuove generazioni, ma che ha anche ricadute dirette su settori chiave come quello agroalimentare e ortofrutticolo, già messi a dura prova da diversi fenomeni macroeconomici.
Ma il quadro si fa ancora più cupo se si guarda all’evoluzione della povertà alimentare nel suo complesso. Nel 2024, la percentuale di persone che non riesce a consumare un pasto proteico almeno ogni due giorni è salita al 9,9%, rispetto all’8,4% dell’anno precedente. Inoltre, il 5,5% della popolazione ha mostrato almeno uno degli otto segnali di insicurezza alimentare definiti dalla scala internazionale “Food Insecurity Experience Scale”.
Una generazione che fa la fame
Questi numeri non sono solo statistiche: raccontano la storia di una generazione che fatica a costruirsi un futuro dignitoso. Come sottolineato in un articolo di Francesca Del Vecchio su La Stampa, la povertà alimentare tra i giovani è una realtà quotidiana per chi opera in prima linea, come i volontari e i dirigenti della Caritas.
Andrea Fanzago, responsabile dell’area povertà alimentare di Caritas Ambrosiana, spiega che molti giovani vivono in una condizione di precarietà cronica: "Entrano ed escono dallo stato di povertà perché non c’è un reddito sicuro". Il problema, infatti, non è tanto la mancanza di lavoro, quanto la qualità e la remunerazione dello stesso. Si parla sempre più spesso di lavoratori poveri: persone che, pur avendo un impiego, non riescono a far fronte ai costi della vita – tra affitti, bollette, mutui e inflazione.
Il cibo come prima richiesta di aiuto
Milano, come molte altre grandi città italiane, non fa eccezione. Nel 2024, Caritas Ambrosiana ha registrato 24.003 richieste di aiuto alimentare, confermando che il cibo è la prima necessità per chi si trova in difficoltà. E sebbene ci sia stato un lieve calo rispetto agli anni precedenti, il dato resta emblematico di un disagio strutturale.
Fanzago aggiunge: "Il profilo della persona che si rivolge a noi è quello del lavoratore povero, persone o famiglie che hanno un reddito ma che con gli attuali costi della vita si trovano in una situazione di precarietà". Una precarietà che, per i più giovani, rischia di diventare la norma.
E la filiera ortofrutticola?
Queste difficoltà evidenziano un nodo critico per il settore ortofrutticolo: la filiera deve interrogarsi su come intercettare e sostenere quella parte di popolazione che, per motivi economici o sociali, fatica ad accedere a prodotti freschi e di qualità. È necessario ripensare modelli distributivi, politiche di prezzo e strategie di inclusione, affinché il consumo di frutta e verdura sia aperto a tutti.