I beni alimentari hanno subito un aumento di quasi il 25% in cinque anni. A dirlo l'Istat, che inoltre rileva: il cibo rappresenta, nel 2025, oltre un quinto del valore economico dei beni e servizi consumati dalle famiglie italiane ed equivale, in media, al 16,6% della spesa.
Trattandosi di beni in prevalenza necessari, si caratterizzano per la rigidità della loro domanda rispetto ad aumenti di prezzo. Inoltre, gli incrementi dei listini hanno un impatto rilevante sul potere di acquisto delle famiglie, soprattutto quelle a più basso reddito in considerazione della maggiore quota dei beni alimentari rispetto al totale dei consumi.

Da ottobre 2021 a ottobre 2025, i beni alimentari hanno registrato aumenti di prezzo del 24,9%, un incremento superiore di quasi otto punti percentuali rispetto a quanto evidenziato nello stesso periodo dall’indice generale dei prezzi al consumo armonizzato (+17,3%)
I freschi aumentano più dei trasformati
Nel dettaglio, gli alimentari freschi (o non lavorati) sono aumentati più di quelli lavorati (+26,2% e +24,3% rispettivamente); il prezzo del cibo, a settembre 2025 è cresciuto del 26,8% rispetto ad ottobre 2021, con incrementi più ampi per i prodotti vegetali (+32,7%), latte, formaggi e uova (+28,1%) e pane e cereali (+25,5%).

I prezzi degli alimentari iniziano a crescere nella seconda metà del 2021; subiscono un’impennata dall’inizio del 2022 fino alla metà del 2023, e continuano ad aumentare, seppure a tassi più moderati, anche nel periodo successivo.
Un fenomeno diffuso
Il fenomeno non ha riguardato solo l’Italia. Ha infatti colpito altri paesi europei anche con maggiore intensità. I prezzi del cibo sono infatti aumentati, nel periodo in esame, del 29% per l’area euro (+32,3 nella Ue 27), del 32,8% in Germania, del 29,5% in Spagna. La Francia ha registrato incrementi leggermente inferiori (23,9%) a quelli rilevati in Italia.
L'analisi delle cause
Le cause dell’eccezionale crescita dei prezzi dei prodotti alimentari in Italia sono individuabili in una combinazione di fattori, di natura soprattutto esterna, che hanno determinato forti aumenti soprattutto nei prezzi internazionali degli input produttivi del settore alimentare. I fattori interni hanno invece agito in misura più limitata e, in particolare negli anni più recenti.

A partire dalla seconda metà del 2021, sono iniziate a manifestarsi pressioni al rialzo dei prezzi internazionali delle materie prime alimentari dovute alla fase di ripresa economica post pandemica. In tale contesto, in presenza di una domanda crescente e di frizioni nell’approvvigionamento dovute ai riassestamenti delle catene globali dopo la pandemia, si è verificata una contrazione dell’offerta mondiale determinata anche da eventi meteorologici avversi nei principali paesi esportatori.
Da febbraio 2022, l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni internazionali (per esempio il blocco delle importazioni di gas naturale) nei confronti della Russia hanno determinato forti pressioni inflattive sui beni energetici; nello stesso periodo hanno continuato a crescere i prezzi delle materie prime alimentari.

In Italia, il prezzo al consumo dei beni energetici è aumentato da ottobre 2021 a novembre 2022 del 76%, in misura ben maggiore rispetto alla media dell’area euro (38,7%), dell’Ue27 (36,8%) e degli altri principali paesi europei: Germania (42,7), Francia (21,1%) e Spagna (2,9%). L’aumento del costo dell’energia ha avuto un impatto diretto e particolarmente significativo sul settore degli alimentari non lavorati, dove il peso degli input energetici sugli input otali (5,5%) è più del doppio rispetto alla media degli altri settori escluso quello energetico (2,2%) e di oltre un punto percentuale superiore all’intera economia (4,4%).
Lo shock energetico ha inoltre colpito il settore alimentare anche in modo indiretto, attraverso gli incrementi dei prezzi di altri prodotti intermedi, in particolare i fertilizzanti (il cui prezzo è più che raddoppiato dall’inizio del 2021 alla fine del 2022), che rappresentano un input molto rilevante per il settore agricolo.
Una reazione a catena
Nel periodo di maggiore crescita dei prezzi dei prodotti alimentari non lavorati (dalla fine del 2021 a metà del 2023), i fattori interni hanno invece inciso in misura minore rispetto a quelli internazionali. In particolare, nel settore primario, i margini di profitto si sono mantenuti sostanzialmente stabili fino alla metà del 2023, mentre è aumentato il costo del lavoro per unità di prodotto (clup), ma in misura minore rispetto ai costi unitari variabili totali.

Dal terzo trimestre del 2021 al terzo del 2023 il prezzo dell’output è cresciuto del 20,2%, leggermente meno del deflatore dell’input (21%). Gli incrementi del prezzo dei prodotti alimentari non lavorati si sono trasmessi al settore di quelli lavorati; i prezzi alla produzione dell’industria alimentare sono aumentati, tra il terzo trimestre del 2021 e il terzo del 2023, del 21,4%, in presenza di un’analoga crescita delle materie prime agricole.
L’elevata interconnessione tra i due settori, con i beni alimentari che rappresentano un’importante quota degli input intermedi sia del settore agricolo sia di quello alimentare industriale (il 53% lavorati e il 42% i non lavorati), ha rappresentato un ulteriore elemento di trasmissione degli effetti sui prezzi.
Negli ultimi due anni è andata meglio
Negli ultimi due anni il prezzo al consumo degli alimentari (food) ha continuato a crescere ma a tassi sensibilmente più contenuti (+4,4% da settembre 2023 a settembre 2025).
Nel corso del 2024, in presenza di una moderazione dei prezzi degli input, i margini nel settore agricolo hanno recuperato e nella prima metà del 2025 si sono stabilizzati su livelli più elevati rispetto alla media degli ultimi dieci anni. Dagli inizi del 2024, la dinamica del prezzo dell’output è rimasta sempre al di sopra di quella del prezzo dell’input.

La crescita tendenziale dei prezzi alla produzione del settore alimentare industriale si è ridotta dalla metà del 2023 fino alla fine del 2024, collocandosi comunque al di sopra di quella delle materie prime alimentari. Successivamente i prezzi alla produzione, in presenza di rialzi di quelli delle materie prime alimentari, sono rimasti sostanzialmente stabili.