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Pesticidi negli alimenti, gli ortaggi più virtuosi della frutta

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Secondo il report di Legambiente si utilizza ancora troppa chimica in campo. Diminuiscono le vendite di principi attivi

In Italia diminuisce il ricorso ai pesticidi, ma se ne utilizzano ancora troppi. E’ questa, in sintesi, la conclusione a cui è giunto il dossier Stop pesticidi 2021 realizzato da Legambiente con la collaborazione di Alce Nero.

“Nonostante sia possibile ricorrere a tecniche di intervento o prevenzione alternative, tra cui l’applicazione di corrette pratiche di gestione agronomica, l’utilizzo di organismi competitori e di fitofarmaci di origine naturale – si legge nel report – l’impiego di sostanze chimiche di sintesi utilizzate per proteggere le colture da piante infestanti, insetti, funghi e dal possibile sviluppo di malattie biotiche, è ancora estremamente diffuso”.

Più residui nella frutta

Per realizzare il dossier sono stati analizzati 2.519 campioni di alimenti di origine vegetale: la percentuale di irregolari è  molto bassa (1,39%), mentre è alta (63,29%) la percentuale di campioni privi di residuo o con un quantitativo entro i limiti di legge. 

La maggiore concentrazione di residui è stata rilevata nella frutta: i fitofarmaci sono presenti nell’uva da tavola (85,71%), nelle pere (82,14%), nelle fragole (71,79%) e nelle pesche (67,39%). Le maggiori irregolarità si riscontrano negli agrumi, nei piccoli frutti e nella frutta esotica.

Va meglio alla verdura: il 73,81% degli ortaggi è risultato senza residui (73,81%), eccezion fatta per pomodori e peperoni, che hanno elevate quantità di fitofarmaci, rispettivamente 60,20 e 48,15% dei campioni analizzati.


Preoccupa il multiresiduo

A non tranquillizzare Legambiente è il multiresiduo, cioè la compresenza di più residui di sostanze nel medesimo campione: “A destare preoccupazione – sottolinea il dossier – non sono solo i campioni irregolari, che risultano in percentuale minima, ma i campioni che contengono uno o più residui di pesticidi (35,32%), seppur nei limiti di legge”.

Dalle analisi degli organi di controllo nazionali, il multiresiduo regolare è poco più abbondante del monoresiduo regolare. Questo infatti è stato ritrovato nel 21,59% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 13,79% di quelli monoresiduo. La frutta è la categoria più colpita, circa il 39,24% dei campioni analizzati contengono più di una sostanza chimica, quasi il triplo rispetto ai casi del monoresiduo (14,35%). Ne deriva che circa la metà della frutta non ne presenta alcun tipo (44,78%). La verdura invece presenta un quadro migliore: i campioni senza residui abbondano – sono il 73,81% del totale – mentre quelli dove è stata rinvenuta almeno una sostanza attiva regolare sono il 24,49% (mono 14,12% e multi 10,37%).

Non va poi così male

Tra gli obiettivi che l’Unione europea si è data in tema di sostenibilità, c’è anche la riduzione, entro il 2030, del 50% dei pesticidi, del 20% dei fertilizzanti, nonché il raggiungimento del 25% di terreni agricoli coltivati con il metodo biologico e del 10% delle aree agricole destinato a fasce tampone e zone ad alta biodiversità.

In generale gli stati membri sembrano essere sulla buona strada per centrare gli obiettivi di cui sopra: nel 2019 l’Europa ha registrato una riduzione del 6% dei volumi di sostanze attive vendute rispetto al 2018 (333.418 tonnellate nel 2019), raggiungendo il minimo storico dall’avvio del sistema di monitoraggio Eurostat attualmente in uso. Gli stati membri che più incidono sono Germania, Spagna, Francia e Italia. Proprio l’Italia ha ridotto le vendite, dal 2011 al 2019, di più del 30 per cento. Al decremento di vendite di sostanze attive si associa un aumento di superfici agricole adibite al biologico nell’intera Unione europea, che passano dai 13 milioni di ettari nel 2018 ai quasi 13,8 milioni di ettari nel 2019. Particolarmente virtuosa l’Italia, con un incremento di sau (superficie agricola utilizzata) di circa il 35% rispetto al 2018, per un totale di oltre due milioni di ettari coltivati a biologico nel 2020.

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