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Import/Export

“Ortofrutta, vi racconto il mercato globale per le aziende italiane”

Paese per Paese, l’analisi puntuale ed esaustiva della export manager Sara Grasso (Oranfrizer-Unifrutti)

Nella giornata inaugurale di Fruit Logistica 2023 il convegno organizzato da myfruit.it e Associazione nazionale Le Donne dell’Ortofrutta nell’area dell’Italian Fruit Village ha permesso a Sara Grasso, export manager di Oranfrizer – Unifrutti, di fornire una lettura molto precisa dei trend relativi al mercato internazionale dei prodotti ortofrutticoli. Una testimonianza a 360 gradi, sintetica ma esaustiva, uno sguardo esperto e critico – non legato solo all’esperienza della sua azienda, ma su un piano più alto – che vogliamo riproporre  ai nostri lettori.

Uno sguardo al recente passato

“Nel 2021/22 l’export dell’ortofrutta italiana è stato molto difficile e complicato per noi tecnici commerciali che costruiamo le vendite in export giorno per giorno, confrontandoci con i buyer di mercati di altri paesi ancora stressati dagli strascichi del Covid e poi, a sommare, dalla crisi economica (sopratutto in Europa) scatenata dal conflitto esploso lo scorso febbraio in Ucraina – ha ricordato la manager siciliana – Nelle scorse settimane mi sono confrontata con colleghi che si occupano di export come me per altre grandi aziende italiane specializzate in kiwi, mele, pere, susine, agrumi e uva per valutare le nostre esperienze di vendita dello scorso anno e mettere insieme un po’ di informazioni sui mercati”.

L’anno scorso, con la crisi energetica, sono aumentati i costi di produzione e di trasporto e, di conseguenza, sono aumentati i listini. Questo ha avuto un effetto negativo sull’esportazione dell’ortofrutta nel secondo e terzo trimestre anche se poi, alla fine del terzo trimestre, i numeri di Fruitimprese relativi all’export parlano di un ritorno ai livelli dell’anno prima, anzi con un piccolo incremento a valore e una flessione a volume di circa 70mila tonnellate.

“Sicuramente, come dicono, è stato un miracolo perchè le condizioni delle trattative sono state complicatissime – ha spiegato Sara Grasso – Da un lato, noi con questi listini pesanti di costi, dall’altro lato i buyer, stressati dalla compressione dei consumi, dovendo le famiglie di qualunque nazione fare i conti con problemi economici, aumento di ogni tipo di bene di consumo, tranne che dei loro stipendi. Nei differenti mercati i consumatori tagliano anche la spesa del food e questo mette in crisi i buyer dei vari canali di vendita perché anche loro devono fatturare e non riescono nel breve termine a immaginare o intuire i trend del mercato e quali strategie applicare per mantenere i fatturati”.

“A scapito dei margini delle aziende…”

“Molti buyer – ha continuato Grasso – hanno comunque onorato le durature relazioni commerciali con i fornitori italiani, ma riducendo i volumi e imponendo la riduzione del prezzo (per loro la strategia più facile e meno rischiosa, ndr), nonostante gli aumenti dei costi di produzione. Ttutto questo, nella maggior parte dei casi, a scapito dei margini delle aziende, già le aziende provate dalla pandemia, che comunque hanno dovuto vendere la frutta a queste condizioni non trovando facilmente alternative più remunerative, vista la crisi. Molti buyer hanno cercato di stimolare i consumi e spingere le vendite con promozioni e attività di marketing, altri hanno deciso di acquistare da altri Paesi – fornitori della stessa frutta, ma a prezzi più bassi – o hanno acquistato da mercati più vicini, anche se non tradizionali fornitori e con standard qualitativi inferiori a quelli dei prodotti italiani. Un trend, questo, che si era già innescato durante la pandemia”.

Per questi motivi c’è un pò di sfiducia e disorientamento tra gli operatori. “Perché – ha ribadito la export manager – anche quando credi di avere consolidato un forte legame con un mercato, un cliente, o di avere fidelizzato un canale di vendita, quella certezza può svanire in un momento, vanificando anni di lavoro. Noi commerciali di natura dobbiamo essere fiduciosi, ottimisti e positivi, perchè questo è il giusto atteggiamento per vendere bene anche davanti a grandi difficoltà, ma l’anno scorso è stato abbastanza difficile e il 2023 non sembra offrire orizzonti migliori”.

Le performance dei mercati nel 2022

La panoramica di Sara Grasso è partita dal mercato interno: “L’Europa è rimasta ovviamente il principale mercato di distribuzione dell’ortofrutta italiana con in testa la Germania, storicamente il principale ricettore dell’agroalimentare italiano, inclusa l’ortofrutta. Kiwi e uva alla fine sono andati bene, con qualche incremento in volume per qualcuno. Meno bene agrumi e mele e, sopratutto, pere. In particolare, gli agrumi da qualche anno soffrono un deficit produttivo in campo causato da condizioni climatiche avverse e dal virus della tristezza e sicuramente anche questo, insieme alle performance di mercato, ha influenzato i risultati negativi. In Francia, un altro mercato importante per la nostra distribuzione di ortofrutta, tutto sommato è andata bene per kiwi e uva, meno per gli agrumi, mele e pere. Altalenanti gli altri mercati come Spagna e Paesi nordici, ad esempio la Svezia, che facilmente optano per fonti di approvvigionamento più economiche. Un paradosso: i Paesi con il Pil più alto risparmiano sul food, proprio loro che potrebbero pagarlo di più. Bene la Danimarca per le mele e gli agrumi bio e l’Austria“.

“I Paesi terzi specie quelli di oltremare hanno subito un calo generale, nonostante gli effetti della crisi energica innescata dal conflitto in Ucraina li abbia colpiti relativamente – ha aggiunto – I motivi sono molteplici: il fatto che ovviamente su vari mercati non si può esportare qualunque tipo di frutti, ma solo quelli per i quali esiste un protocollo; molti mercati l’anno scorso ancora pativano gli effetti del Covid, pensiamo alla Cina che solo di recente ha sbloccato i lockdown locali e interrotto la politica Covid-zero che ne ha devastato l’economia. Resta comunque un mercato dall’enorme potenziale di crescita e visti i numeri del passato ci aspettiamo che recupererà facilmente”.

In Cina l’Italia esporta i kiwi, lo scorso anno meno dell’anno precedente. “La Cina – ha precisato Grasso – sta incrementando le produzioni interne e ne migliora la qualità di anno in anno, dunque la pretesa di qualità sul prodotto importato cresce e purtroppo, in generale, i protocolli di esportazione combinati con i lunghi transit-time non aiutano a far arrivare il nostro prodotto sempre in ottime condizioni. Dunque bisogna misurarsi anche con queste problematiche. E con la competizione degli altri paesi produttori, quali la Grecia, molto competitivi su prezzi ma anche sulla qualità. L’India è andata bene per kiwi e mele italiani. Tradizionalmente grande consumatore di ortofrutta, è un mercato che si affeziona facilmente alle marche e, quindi, comunicare sul prodotto funziona. Male invece il Giappone dove si possono esportare dall’Italia solo le arance rosse: a parte i transit-time via mare veramente lunghissimi (si parla di 45/55 giorni che non permettono all’arancia di sopravvivere, visto che dopo la raccolta cessa di maturare e va solo a deteriorare, a differenza di kiwi e mele che, posti a basse temperature, si addormentano e quindi resistono più a lungo continuando il processo di maturazione molto lentamente, ndr) l’arancia è devastata dalle basse temperature previste dal protocollo di esportazione. Dunque non facilmente arrivano bene a destino”.

Per Sara Grasso, gli Stati Uniti sono un’altro mercato potenzialmente importante, dove si possono fare buoni volumi. Nel 2022 i kiwi e le susine sono andate bene, gli agrumi molto meno. E’ un mercato con una forte competizione sia interna sia estera e quindi i prezzi interni cambiano velocemente, di settimana in settimana. I mercati del Sud America stanno crescendo per le mele e hanno un grande potenziale.

Molto bene i Paesi terzi più vicini all’Europa e nell’area del Mediterraneo, più facilmente raggiungibili (vedi Svizzera e Regno Unito) per kiwi, mele, susine, agrumi, uva e arance rosse. “Il Regno Unito tra Brexit e crisi energetica l’anno scorso è stato un mercato altalenante anche perchè storicamente, oltre che dall’Europa, importa da altri Paesi e, inoltre, durante la Brexit ha preso accordi con Paesi del Nord Africa agevolandone l’ingresso della frutta per avere una alternativa all’import dall’Europa nel caso la Brexit avesse determinato costi-extra. Bene l’Egitto per i kiwi e benissimo per le mele il cui export è in crescita nonostante le complicate pratiche di vendita legate a lettere di credito. Pratiche che però sono in via di risoluzione. Bene anche l’Arabia Saudita e gli Emirati per molti tipi di frutta specialmente per le mele”.

Competitività del prodotto italiano

Un’ultima considerazione ha riguardato la competitività del prodotto italiano. “Decisamente il made in Italy ha una sua reputazione e forte appeal su ogni mercato nel mondo. Il life style italiano e la dieta mediterranea a base di frutta e verdura, i suoi benefici a livello salutistico sono fortunatamente punti di forza che andrebbero potenziati con una comunicazione meno romantica e più scientifica insieme al tema della sicurezza alimentare. Di recente da un monitoraggio dell’Efsa (l’Agenzia per la sicurezza alimentare europea che ha sede a Parma) è emerso che il profilo di sicurezza alimentare dei prodotti italiani è al 99% in merito ai residui riscontrati. Decisamente il più alto tra i paesi produttori europei”, ha riferito Sara Grasso, che ha concluso: “Questi temi dovrebbero essere sostenuti molto più, e anche supportati da ricerche scientifiche: bisognerebbe, cioè, misurare gli effetti benefici di ogni singolo frutto nella dieta giornaliera e spiegare perchè sia importante assumerli per la nostra salute e per la prevenzione. Questo potrebbe essere un importante messaggio per spingere i consumi e fare capire alle persone che vale la pena investire in ortofrutta e migliorare ora la nostra alimentazione per risparmiare in futuro problemi di salute e spese mediche”.

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