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Focus del mese Myfruit

La marca in ortofrutta? Chiarezza, continuità e coerenza

Al webinar di myfruit il confronto tra Angelo Arrigoni (Carrefour Italia), Claudio Mazzini (Coop Italia) e Salvo Garipoli (SGMarketing)

Cresce l’incidenza della marca del distributore (Mdd) nella Gdo e crescerà sempre di più. Ma quanto vale la marca in ortofrutta e quali sono le strategie per la sua affermazione? Tema complesso sviluppato dagli ospiti del webinar organizzato da myfruit.it e moderato dalla direttrice Raffaella Quadretti: Angelo Arrigoni (Carrefour Italia), Claudio Mazzini (Coop Italia) e Salvo Garipoli (SGMarketing). Una tavola rotonda online con preziose informazioni.

La marca, partiamo dalle origini

La marca è anche differenziazione e distinzione. Una storia antica, come ha spiegato nella sua introduzione Salvo Garipoli che è andato indietro di millenni lungo la nostra storia commerciale. Ma oggi? “Fare marca è mettersi in ascolto con il consumatore e chi fa un brand non sceglie dal menù al ristorante, ma è colui che quel menù lo scrive”. Chiaro, serve ascolto ed azione.

Uno sguardo al passato anche da parte di Claudio Mazzini che ha ricordato come “la Coop è stata la prima con Prodotti fatti con amore, una scelta  basata sulla rassicurazione del consumatore e poi dai primi anni 2000 abbiamo lavorato sulla  segmentazione, con prodotti biologici, solidali.  Diventare marca, e non marchio, ha significato dare risposte  a tutte le unità di bisogno del singolo consumatore usando tutto l’articolato, oggi rappresentato da Vivi Verde Coop, Solidal, la linea Fior Fiore“. In oltre trent’anni  i prodotti Coop sono arrivati al 30%. Un successo. L’ingrediente della ricetta: “Bisogna rispettare la promessa“.

E la storia di Carrefour? “Affonda nei decenni scorsi – ricorda Angelo Arrigoni – con i prodotti liberi, quelli che allora erano senza marca. Un processo simile alla Coop, da qualità generica siamo passati a targettizzare le diverse fasce di consumatori ed è nato il biologico, il primo prezzo, le linee specializzate a un ambito merceologico come detergenza o profumeria”.

Le difficoltà dell’ortofrutta a creare la marca

Ma perchè le  marche dell’ortofrutta fanno così fatica ad affermarsi? Risponde Mazzini con una domanda: “Quanti marchi ricorda il consumatore? Massimo due, e sono mele e banane che hanno investito risorse importanti negli anni. Per rispettare in maniera assoluta la promessa sono importanti la dimensione ed economie di scala per arrivare alla comunicazione“. In ortofrutta la scala è corta, e non sempre si mantiene la promessa, e “la comunicazione troppo scarsa“.

Sulla stessa linea Arrigoni: “Il lavoro di marca oggi è sofisticato e il tema delle dimensioni è fondamentale.  Il settore è stato caratterizzato da una forte parcellizzazione  anche se oggi con le cooperative e i consorzi si sono sviluppate realtà importanti.  I brand di marca della Gdo sono andate a sopperire le piccole dimensioni”.

Questa l’analisi, ma la ricetta? Arrigoni la sintetizza nelle 3 C ovvero: “Chiarezza, continuità e coerenza sono gli elementi per creare un marchio di successo”.

Scarsa comunicazione

Salvo Garipoli porta i numeri sul tavolo: “Rappresentiamo il 10% dell’alimentare e investiamo in comunicazione appena il 3%. Il canale digital negli ultimi anni è passato dal 20 al 40%, la televisione dal 50 al 40% in ortofrutta gli investimenti digitali sono invece fermi al 21% e sulla televisione siamo al 60%“.  Non si è proprio sintonizzati sulla comunicazione contemporanea.

Scende il biologico, cresce il premium di marca

I numeri sono essenziali per capire l’evoluzione della marca: “Nella frutta il prodotto Fior Fiore ha raggiunto  lo stesso fatturato della linea Origine, ha più che raddoppiato, mentre si è dimezzato il biologico. I consumatori non riconoscono più quel valore precedente al prodotto e si tratta di un problema, visto che siamo i più grandi produttori bio d’Europa”.

Il consumatore non mette nel carrello solo prodotti premium: “Alcuni mi devono dare soddisfazione come le uve, le fragole e le ciliegie, mentre una lenticchia, un cece, una noce anche se non sono perfetti mi vanno bene lo stesso”. E poi sempre e comunque mantenere la promessa: “Ci vogliono 20 anni per fare un brand come il nostro Fior Fiore, alcuni anni non abbiamo fatto intere campagne, rinunciando anche ai margini, perché non potevamo mantenere la promessa“.

Il futuro?

L’orizzonte è l’industria che diventa fornitore per i prodotti a marchio del distributore? “Noi vogliamo arrivare al 40% di prodotto a marchio entro il 2025. Quindi gli spazi si restringono, ma resistono – sottolinea Arrigoni – Bisogna trovare un equilibrio e puntare sulla collaborazione. Chi vuole creare un brand di successo pensi a interagire con la Gdo, è fondamentale che nello sviluppo di questi prodotti si tenga in considerazione anche la nostra volontà di partecipare. In alcuni casi invece si è creato un processo di esclusività“.

Attenzione alla qualità: “Pensiamo alla transizione alimentare con prodotti di qualità, rispetto di ambiente e animali ma con  prezzi contenuti. Il portabandiera di Carrefour è Filiera qualità con prodotti controllati in tutte le fasi della produzione. Dal 2024 tutti i nostri prodotti saranno bee friendly, eliminando  tutti quei prodotti che interferiscono con le api che sono un marcatore di salubrità dell’ambiente. Proteggeremo l’insetto”. La sostenibilità.

Produzione e distribuzione sull’altare insieme

Salvo Garipoli è chiaro: “Il terreno comune è quello della progettualità e arrivare per messaggi chiari e univoci al proprio mercato finale. Chi gestisce una marca ha il compito di provare a individuare attività che spostino l’attenzione dal mero posizionamento di prezzo all’esperienza di prodotto“. La responsabilità.

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