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20 maggio 2025

Dazi, la filiera agroalimentare fa il punto

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Identificare scenari e strategie utili alle aziende del settore agroalimentare italiano per continuare a lavorare negli Stati Uniti, dazi permettendo. Con questo obiettivo si è tenuto stamattina a Milano l'incontro Oltre i confini: investire nell'agroalimentare italiano tra dazi e nuove narrazioni, voluto dall'agenzia di comunicazione EJ. 

Un momento di riflessione su uno scenario nuovo e complesso, che va al di là delle turbolenze geopolitiche. Rispetto all'attacco alle Torri Gemelle del 2001, al credit crunch del 2008 o alla pandemia del 2020 - hanno convenuto i relatori - quello che regna è l'incertezza, ossia un nemico invisibile. Il che porta a dover valutare strategie e comportamenti diversi a seconda di come evolverà la situazione. 

Cosa farà Trump?

Il tema al centro del dibattito, i dazi trumpiani: che cosa deciderà il presidente degli Stati Uniti dopo la tregua di 90 giorni sull'introduzione di nuove tariffe per i partner commerciali degli Usa? Proseguirà nel suo progetto o arretrerà? Difficile rispondere, perché gli elementi su cui poggiare la riflessione sono almeno due. 

Il primo lo ha illustrato Simone Crolla, consigliere delegato di American chamber of commerce in Italy: "La priorità, per Donald Trump, è riequilibrare la bilancia commerciale, e lo farà senza esitare. Se deciderà di andare avanti con la politica dei dazi, le aziende esportatrici devono augurarsi che resti sull'idea della soglia minima del 10 per cento, altrimenti sarà uno tsunami".

Il secondo elemento lo ha invece descritto Marco Costaguta, partner Oc&C: "Gli americani hanno insegnato l'economia a tutto il mondo, dunque sanno che i dazi sono un'arma a doppio taglio, dannosa per tutti. Se prevarrà il buon senso, decadranno". 

Qualche numero per contestualizzare

A Federico Capeci, Ceo di Kanter Italy and Spain il compito di contestualizzare lo scenario con alcuni numeri. "L'88% della popolazione mondiale è a conoscenza dei dazi, il che la dice lunga sull'impatto che potrebbero avere - ha spiegato - Inoltre, dalle nostre osservazioni, emerge che il 50% della popolazione italiana è a favore dell'amministrazione Trump". 

Ma c'è un altro numero che si fa notare: "Il 72% degli americani - ha sottolineato Capeci - desidera comprare food la cui origine sia americana, a seguire sceglie prodotti di origine italiana". "I due settori che saranno maggiormente impattati dai dazi (o meglio sarebbero, il condizionale è ancora d'obbligo, ndr) sono il food e il lusso".

Gli highlights del dibattito

Sono diversi gli spunti di riflessione emersi durante il dibattito i quali, pur non riguardando in maniera diretta il settore ortofrutticolo, possono comunque essere mutuati per tutti i segmenti della filiera agroalimentare italiana. 

"La frammentazione della produzione italiana non aiuta, la Spagna insegna che fare sinergia paga - ha evidenziato Emanuele Siena, marketing director di Salov Group, che produce di olio di oliva - Per non essere schiacciati dalla concorrenza occorre puntare sulla qualità del prodotto italiano, per un riposizionamento più alto. Quello Usa potrebbe diventare un mercato molto selettivo". 

Sul prezzo dei prodotti e sul loro posizionamento è intervenuta Maura Latini, presidente di Coop Italia, che ha rilevato: "I brand stanno perdendo efficacia, c'è disaffezione da parte del consumatore, perché il primo motore della scelta è il prezzo. La perdita di fidelizzazione accumuna il mondo della produzione con quello della distribuzione, non a caso continuano a crescere i discount". 

Sempre Maura Latini ha richiamato l'attenzione sull'inflazione: "Eventi quali alluvioni, incendi, siccità hanno avuto pesanti ricadute sull'inflazione, dobbiamo avere il coraggio di chiamarla inflazione climatica - ha argomentato - Per via di questi eventi tutti i prodotti di largo consumo costano il 20% in più rispetto al 2022. L'inflazione climatica a mio avviso, è un elemento su cui ragionare, perché continuerà ad accompagnarci". 

In questo scenario di incertezza, hanno concordato i relatori, è necessario anche affrontare il cambiamento: "Il made in Italy ha bisogno di introdurre il cambiamento culturale introdotto dalle nuove generazioni, altrimenti non si sta al passo - ha spiegato Marcello Milo, vicepresidente del coniglio del Gruppo Vini di Federvini - Dobbiamo diventare più coraggiosi e più flessibili".

"Dobbiamo augurarci che Trump cambi idea, perché sarebbe oramai tardi per trovare nuovi mercati e nuove strategie  - ha concluso Marco Costaguta - Ma lo spauracchio dazi può comunque servire da lezione: la supply chain agroalimetnare italiana deve fare sinergia, partnership, massa critica". 

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