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Trend e Mercati

I marchi nel settore dell’ortofrutta? Da soli non fanno la differenza

MarchiOrtofrutta

Basta l’ideazione di un marchio a risolvere i problemi? Non sempre, anzi, è il concorso di più fattori a determinare il successo

Prendo spunto dalla lettera aperta che un po’ di tempo fa, a fine maggio, il presidente del Consorzio Ciliegia di Bisceglie Gianni Porcelli ha mandato un po’ a tutti i media specializzati, e non solo. Descrisse la situazione cerasicola spagnola, conosciuta attraverso un viaggio in quel paese, e, una volta tornato si sentì molto sfiduciato osservando quanto succede a casa sua. Lanciò delle proposte, arrivando a conclusioni che però, dal mio punto di vista, reputo un po’ discutibili. Dico questo perché sono stato uno dei protagonisti della nascita del Consorzio della Ciliegia Tipica di Vignola negli anni ’60 ed ho, da allora, osservato e studiato da vicino anche altri consorzi. E vorrei partire, prima di giungere alle conclusioni, da un breve excursus su alcuni punti fondamentali che hanno contraddistinto la nascita di Consorzi e marchi che in alcune zone hanno avuto, e continuano ad avere anche adesso, un peso sicuramente molto importante.

Con una premessa: all’inizio tutti, anche quelli che hanno ideato marchi oggi molto noti e famosi, hanno dovuto affrontare grosse difficoltà.

Le mele Melinda in Trentino

L’operazione Val di Non fu ideata nel 1989 da un assessore provinciale: quando le tante cooperative della zona compresero i suggerimenti dell’agenzia pubblicitaria milanese al quale quest’ultimo si era rivolto, fecero i primi passi nella giusta direzione. Si misero d’accordo, unirono le forze per controllare e uniformare la qualità, nonché per avere dei target di consumatori comuni da raggiungere attraverso la pubblicità. Sfruttavano il marchio geografico “Val di Non” ma il buon successo commerciale delle loro attività produsse però il risultato di vedere in vendita in giro per l’Italia mele targate “Val di Non” in quantità tripla rispetto all’effettiva produzione della Valle. Quel marchio non poteva essere difeso davanti a nessun tribunale. Solo nel 1998, con la collaborazione di un affermato specialista di marketing, fu presa la difficile decisione di introdurre il nuovo marchio “Melinda” che racchiudeva in se, e lo fa tuttora, il concetto di “mondo verde e pulito”. Il suo successo è oggi ormai universalmente noto. Ma ci sono voluti molti anni per trovare l’assetto giusto che si basa anche sulla definitiva centralizzazione della commercializzazione e delle relative attività di marketing.

Alto Adige, l’arrivo di Marlene

In Alto Adige il consorzio altoatesino VOG stava osservando da anni, non senza una certa invidia, l’affermazione, sia commerciale che remunerativa, degli amici della vicina Val di Non, studiandone i lati positivi e negativi. Così, quando nel 1995 lanciò sul mercato il suo marchio “Marlene”, aveva le idee già chiare: introdurre un vero marchio innovativo, sganciato dal concetto frutta ma giocando sull’immagine collettiva del nome di Marlene Dietrich. Una tavolozza molto ampia di varietà fu inserita sotto questo marchio ombrello così come un forte autofinanziamento (all’epoca 10 lire per ogni cassa di mele). Il progetto partì ed è tuttora un fiore all’occhiello della melicoltura italiana, nonostante non tutte le zone di produzione dell’Alto Adige fossero omogenee, aspetto che contribuì all’uscita dal Consorzio delle cooperativa della Val Venosta che divennero poi indipendenti fondando VI.P.

CiliegieVignolaIgpLe ciliegie Vignola Igp

Il Consorzio di Vignola ha avuto bisogno di ripartire per ben tre volte. La prima volta negli anni ’60 quando è stato fondato, primo del genere in Italia. Dopo 3 tutti i produttori in possesso di materia prima e di stand di lavorazione ottima, avevano già smesso di utilizzare il marchio con il nome Vignola perché danneggiati dalla presenza di ciliegie di qualità inferiore venduta da altri soci, che a volte non raggiungevano neanche i valori minimi richiesti, con conseguente deprezzamento della merce. Nonostante questo, una prima azione pubblicitaria era stata fatta e il suo effetto durò nel tempo. Nel 1986 il Consorzio decise un rilancio e riuscì ad imporre un controllo qualità che dava garanzie alla clientela. Grazie a maggiori finanziamenti poteva permettersi azioni promozionali e pubblicitarie anche all’estero.
Nel 2013 la direzione vignolese decise di intraprendere la strada dell’IGP nonostante la posizione scettica di tanti produttori che temevano disciplinari e controlli troppo stringenti e non aderirono preferendo utilizzare un marchio di transizione come “Tentatrici”. Dopo iniziali tentennamenti e soprattutto in seguito al grande interesse mostrato della grande distribuzione il prodotto in vendita come IGP è aumentato ed oggi porta sicuramente dei risultati, mentre va in sofferenza chi continua a commercializzare le ciliegie in modo anonimo o con il proprio marchio. Questo si traduce in un aumento del prezzo che ripaga le spese aggiuntive e garantisce lo smercio anche nei momenti nei quali i mercati sono sovraffollati.

pachinodetterinoigpil Pomodoro di Pachino Igp

L’ultimo esempio che voglio citare è quello di Pachino, anch’esso con una lunga tradizione alle spalle. Come le ciliegie di Vignola, il pomodoro di Pachino si è creato un ottima fama sul mercato grazie soprattutto all’introduzione di un prodotto ideato in Israele, il pomodoro ciliegino, che in quella zona del sud-est siciliano è riuscito a sviluppare un sapore particolarmente intenso e gradevole. Per questo, fin dalla fondazione nel 2003, il Consorzio utilizzò il toponimo della città. La stagione del ciliegino è molto più lunga di quella delle ciliegie di Vignola e questo ha negli anni prodotto un gran numero di imitazioni che sfruttavano il toponimo ormai noto. Il Consorzio perse così negli anni la sua importanza perché in tutta Italia tutto quello che somigliava al pomodoro ciliegino veniva considerato dal consumatore come automaticamente proveniente da Pachino. Questo a danno della qualità e del buon nome della zona di produzione vocata che include solo l’intera superficie di specifici comuni, a partire da Pachino. Si rese necessario, anche questo caso, un percorso di ripensamento e riorganizzazione che portò, nel 2013, all’introduzione di controlli più severi e una qualità maggiore per il prodotto a marchio IGP attraverso l’individuazione di uno o più ispettori. Qualche anno dopo, nel 2015, erano presenti 100 produttori e 20 centri di confezionamento autorizzati all’uso del marchio registrato. Da quell’anno il controllo viene seriamente eseguito sia in campagna che nei centri di confezionamento (oggi con l’aumento degli ispettori fino ad otto anche su tutto il territorio nazionale). I confezionatori garantiscono per ogni chilo di merce idonea all’IGP un sovrapprezzo di € 0,20 ed in questo modo le tonnellate marchiate sono passate da 6.000 nel 2015 a 7.500 nel 2016 e saranno molte di più nel 2017. Un particolare da non trascurare è quello relativo al fatto che le aziende fornitrici di imballaggi potranno consegnare il relativo materiale con il contrassegno del marchio IGP solo ai soci, assumendosene la responsabilità.

Conclusioni

Questa carrellata dovrebbe aver descritto la complessità delle operazioni necessarie per la messa a punto di un marchio di successo e potrebbe servire agli amici di Bisceglie e alle loro ciliegie.  L’aspetto più importante però è quello meno appariscente: senza un prodotto garantito e standardizzato non si fa un marchio, ma senza una buona distribuzione ed un forte sostegno pubblicitario il marchio serve a poco perché la differenza dell’offerta non viene né percepita né remunerata.

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