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Eventi e Fiere

Bioplastiche e packaging: facciamo chiarezza

Plastica e bioplastica a Fruit Logistica

Durante Fruit Logistica, un interessante convegno sul mondo del packaging. Il futuro è la bipolarità biodegradabile proveniente da scarti della frutta?

Con un convincente quanto inquietante filmato che mostra il cosiddetto “Sesto Continente” – ossia una discarica di plastica a cielo aperto – si è aperto il convegno “Zeropack: passato, presente e futuro del packaging alimentare”, tenutosi mercoledì 6 febbraio a Berlino, durante Fruit Logistica.

«Ma – ha esordito Marco Astorri, CEO di Bio-On SpA – qui nessuno è contro la plastica. Siamo però consapevoli che debba essere messo in atto un cambiamento, una transizione verso soluzioni maggiormente sostenibili. Il riciclo da solo non basta». A motivare queste parole la Professoressa Paola Fabbri dell’Università degli Studi di Bologna la quale, con un intervento particolarmente tranchant, ha fatto chiarezza sul complesso mondo delle plastiche e delle bio-plastiche.

In pratica, semplificando al massimo la sua lectio magistralis, il concetto è che esistono due grandi famiglie di plastiche: quelle derivanti dal petrolio e quelle derivanti da fonti rinnovabili. All’interno di questi due gruppi, si possono distinguere plastiche o bio-blastiche biodegradabili e plastiche o bio-plastiche non degradabili. Sì, proprio così: non tutte le bio-plastiche – quelle cioè derivanti da fonti rinnovabili – sono eco friendly. Per esserlo, devono potersi degradare in poco tempo, altrimenti hanno lo stesso identico impatto ambientale delle plastiche tradizionali: durano cioè centinaia e centinaia di anni e pertanto contribuiscono a formare lo scempio ambientale di cui si diceva in apertura. Tradotto in parole ancora più semplici, il rifiuto è una nota dolente anche per le plastiche che, grazie a quel suffisso “bio”, passano nell’accezione comune per innocue, ma che innocue non sono.

Da quanto riportato dalla Prof.sa Fabbri, quindi, il problema non è (solo) il depauperamento del petrolio (peraltro i consumi per produrre plastica si attestano sul 3,7 per cento), ma la degradabilità, ossia la possibilità di trasformare la plastica in elementi non durevoli e non nocivi per l’ambiente e per la salute umana, e cioè acqua, anidride carbonica, biomasse e metano.
Ne consegue che per rendere sostenibile il packaging, la soluzione è impiegare imballaggi a base di bioplastiche biodegradabili. Ma quali sono?

La soluzione sono i PHA

Analizzati e studiati dal mondo della ricerca e dal mondo industriale una serie di polimeri e biopolimeri, la risposta al problema sembrerebbero essere i poliidrossialcanoati (PHA), ossia polimeri poliesteri termoplastici sintetizzati da vari generi di batteri che danno luogo a plastica prodotta da fonti rinnovabili e biodegradabile in mare aperto. Attenzione però: ciò non significa che non possano stare a contatto con acqua, succhi, bevande e più in gergale liquidi, anzi. Ben si adattano a essere impiegati proprio nel food and beverage perché si tratta di imballare prodotti pronti al consumo, che quindi non necessitano di packaging particolarmente durevoli.

Entrando nel merito, ma senza la pretesa di darne i dettagli in termini di processo chimico, la produzione dei PHA può essere “spinta” nutrendo delle colonie batteriche con gli zuccheri derivanti dagli scarti della frutta, definiti dall’accademica “eccellenti per produrre plastiche ad alto valore aggiunto”.

“In questo modo – ha spiegato Fabbri – si risolvono diversi problemi: non si usano risorse esauribili (il petrolio) e si interviene nella gestione del waste proveniente da altre filiere, in particolare dell’ortofrutta”. Inoltre, ci sarebbe un altro importante vantaggio: per produrre packaging con queste bioplastiche, si possono impiegare processi standard di manifattura, il che significa che non devono essere fatti investimenti in termini di macchinari. Infine, per trovare la soluzione definitiva al problema dell’impatto del packaging, bisogna guardare anche all’end of life dell’imballaggio. Un aspetto che sembra dare ancora una volta ragione alle bioplatiche biodegrdabili in generale e ai PHA in particolare, i quali offrono più opzioni a fine vita: compostaggio industriale e, anche, compostaggio casalingo.

“Per questi prodotti  ha precisato Fabbri – si prevede un interessante sviluppo nei prossimi 5 anni, non soltanto perché sono prodotti emergenti, ma perché, man mano che si testano, continuano a  mantenere le promesse fatte in premessa”.

Certo resta il problema dei costi: senza troppi giri di parole, va detto che le bio-plastiche biodegradabili sono più costose di quelle tradizionali e che questo gap di prezzo è destinato a durare ancora per un po’ di tempo. “E’ fondamentale che il legislatore metta ordine nell’uso delle etichette e che supporti la crescita di questi materiali – ha concluso la professoressa -. A livello europeo, per esempio, vi sono ingenti finanziamenti per il mondo della ricerca di queste nuove plastiche, perché sono diventate un’urgenza globale”.

Nuove sfide

Il convegno è proseguito con gli interventi degli operatori della filiera, tra cui Andrea Taglini, Presidente CEO di Easysnap, azienda che produce macchine per il packaging, nota per aver inventato la tecnologia innovativa per l’apertura di confezioni monodose pre-incise. Taglini ha invitato a riflettere su come può cambiare il design di un packaging, proprio in funzione dell’impiego dei nuovi materiali plastici: “Si può cambiare il design di una bottiglia? – si è dominato – Certo che sì. Per noi – ha dichiarato – la prossima sfida è quella di eliminarne il tappo”.

Marco Astorri e Marco Rivoira, rispettivamente CEO di Bio-on SpA – player nel settore della bioplastica – e di Rivoira SpA – azienda che produce e distribuisce frutta a livello mondiale – hanno colto l’occasione per lanciare Zeropack, la nuova impresa nata dalla loro collaborazione. In pratica, Zeropack si prefigge di mettere a punto una rivoluzionaria tecnologia per la produzione di packaging, sostenibile e totalmente biodegrdabile per il settore dell’ortofrutta. La nuova tecnologia prevede l’uso di scarti agricoli e dunque l’impiego di biopolimeri PHA. Per rendere il progetto concreto e operativo, occorrono però aziende che forniscano gli scarti. Al momento i partner non sono ancora stati individuati, ma gli attori del progetto hanno dato appuntamento a Madrid per conoscere i primi risultati di Zeropack. Se tutto andrà come auspicato, il prossimo ottobre, a Fruit Attraction, grazie alla partecipazione dei produttori che raccoglieranno la sfida, saranno lanciati nuovi packaging biodegradabili al 100 per cento.

I relatori del Convegno “Zeropack: passato, presente e futuro del packaging alimentare”. Da sinistra: Andrea Taglini, Presidente CEO di Easysnap, Marco Astorri, CEO di Bio-on SpA, Marco Rivoira, CEO di Rivoira SpA, Paola Fabbri, professore associato dell’Università degli Studi di Bologna.

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