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Catasto frutticolo, necessario ma le criticità sono molte

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Qualcuno lo fa da tempo, ma chi non è all’interno di OP o cooperative no. E sono quasi il 50% della produzione italiana. Il convegno di CIA Emilia Romagna al Macfrut

Uno strumento fondamentale, necessario, ma come reperire tutti i dati che servono affinché sia veramente utile per il settore, soprattutto là dove le forme aggregative sono molto basse? Non è l’unico dei problemi da risolvere, naturalmente, ma certo non è secondario per realizzare l’ormai famoso Catasto frutticolo. 

Se n’è parlato al Macfrut in un convegno voluto da CIA Emilia Romagna, moderato dalla giornalista Raffaella Quadretti e all’interno del quale hanno partecipato alcuni protagonisti del settore per cercare di fare chiarezza su un argomento che recentemente, dopo la puntata di Report, ha sollevato anche non poche polemiche, e messo in dubbio la reale utilità dei 5 milioni di euro stanziati dalla Legge di Bilancio del Governo.

«La polemica di Report? In parte vera, in parte no. Sono stati intervistati agricoltori un po’ diversi rispetto al resto d’Italia. In Emilia-Romagna siamo molto organizzati e i dati sono in parte già acquisiti, ma ci sono altri territori dove lo scenario è totalmente differente» ha spiegato in apertura il presidente di CIA Emilia Romagna Antonio Dosi. Tutti d’accordo i presenti sulla sua utilità: «aiuta la competitività del settore ed è uno strumento necessario per gestire meglio la programmazione» ha continuato Dosi che di fatto ha anticipato le conclusioni anche dei presenti, a partire da i due presidente delle due più importanti organizzazioni ortofrutticole italiane, vale a dire Apofruit e Apo Conerpo. 

«Monitoriamo le nostre produzioni con un catasto interno da 40 anni, abbiamo iniziato in modo cartaceo poi l’abbiamo naturalmente informatizzato» ha sottolineato Mirco Zanotti di Apofruit. «La richiesta di questo strumento è stata unanime, già da 10 anni, quindi è un bene che finalmente si parta». Dello stesso avviso anche Davide Vernocchi di Apo Conerpo, che però ha evidenziato come una fotografia precisa di casi coltivi nel mondo ortofruticolo ce l’ha sostanzialmente solo il 50% della produzione italiana. E il resto? «Stime, con le quali è difficile fare programmazione». 

«Il fatto che il catasto sia una necessità è una banalità e tutto quello che di strumentale c’è stato è stato fatto per avere qualcosa di negativo da rovesciare nel nostro settore» ha aggiunto Nazario Battelli, presidente di Ortofrutta Italia. «Il ragionamento che ci dobbiamo fare è che se fossimo stati in un contesto in cui il valore della produzione ortofrutticola avesse avuto politicamente più potere, di catasto ortofrutticolo avremmo dovuto parlarne già 20 anni fa quando è nata la OCM ortofrutta». Invece non si fece. Il motivo? «Allora come adesso prevale una logica liberista. Chi si occupa di concorrenza ha la assoluta necessità di fare avere prodotti di ottima qualità al prezzo più basso».

Anche Simona Caselli, assessore all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna, nonché alla guida di AREFLH, l’associazione delle regioni e dei produttori europei dell’ortofrutta, ha sollevato il problema del reperimento dei dati di coloro che sono fuori da cooperative e OP, nonostante la sua sia una delle regioni meglio rappresentate da questo punto di vista. «Il problema è che anche da noi abbiamo il 53% dell’ortofrutta organizzata in OP. I dati di coloro che non appartengono alle OP chi li dà? Come ci arriviamo? Io sono preoccupata per quel 47% dei produttori che non sappiamo neanche come portino i prodotti al mercato. Come censirli adeguatamente?».

Un problema non certo secondario che, ad oggi, non è chiaro come possa essere risolto. Lo ha ribadito anche Elisa Macchi, direttore del CSO Italy, che acquisisce dal 1998 i dati delle realtà socie del Centro Servizi Ortofrutticolo. «Noi lo facciamo per avere ogni anno una fotografia aggiornata in termini di superfici e soprattutto perché noi ci occupiamo di previsioni produttive, quindi è fondamentale conoscere non solo le superfici, ma anche l’età degli impianti, le varietà, la loro distribuzione territoriale» Tutti dati che nelle statistiche ufficiali, ad esempio, non ci sono in questo momento.

Una matassa non semplice da risolvere, e che spetterà al Governo – Alessandra Pesce, sottosegretario del MIPAAFT che avrebbe dovuto essere presente al convegno non ha alla fine partecipato – dal quale tutti, a breve, si aspettano almeno le prime “regole di ingaggio” per poter cominciare a capire come iniziare a procedere. Anche se in realtà, aspetto sottolineato da tutti i presenti, a partire da Stefano Francia, presidente nazionale dei Giovani imprenditori agricoli Cia, servirebbe un catasto anche a livello europeo e dei Paesi del Mediterraneo, visti i casi recenti di sovrapproduzione che hanno toccato competitor come la Spagna e in considerazione del fatto che ormai da tempo le dinamiche e i mercati sono globalizzati. Un obiettivo, quest’ultimo, che al momento sembra lontano. Meglio accontentarsi di portare a casa almeno il catasto italiano, impresa che non sembra così banale e già a portata di mano, come Report aveva invece affermato poco tempo fa.

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